25 maggio 2020: dolorosa e immorale morte – o meglio tristemente gratuito assassinio – di George Perry Flyod.
31 maggio 2020: triste e naturale morte di Christo Vladimirov Javacheff, noto con il nome Christo.
Cosa collega tra di loro queste due morti? Quale rapporto tiene assieme questi due decessi, queste due persone?
Il primo, uomo afroamericano di 46 anni, padre di due figli di 22 e 6 anni, muore – viene ucciso – dopo una sofferente agonia inflitta arbitrariamente da agenti di polizia, uomini umani come lui, pronunciando quelle ultime famose parole, «Non riesco a respirare», «Per favore, per favore, per favore» e «Per favore, amico», rivelatrici di come quell’umana e naturale richiesta di aiuto non fu ascoltata e non volle essere ascoltata da chi avrebbe dovuto e dovrebbe mantenere l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza.
Il secondo, nato in Bulgaria ma drammaticamente fuggito dalla sua patria sottoposta al regime sovietico, tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60, insieme alla moglie Jeanne-Claude Denat, morta nel 2009, avvia una modalità di appropriazione degli oggetti, che passa attraverso il loro travestimento ed impachettaggio con una guaina, trattenuta da corde in modo da consentire la fissità dell’oggetto e spostare il significato dell’opera su una dimensione esclusivamente artistica.
A distanza di circa una settimana muoiono due figure, distanti geograficamente e idealmente, ma ciò che avviò la morte del primo – parlo delle proteste razziali, avviatesi nell’area metropolitana di Minneapolis-Saint Paul, in Minnesota e in seguito diffusesi in tutti gli Stati Uniti e in tutto il mondo come risposta alla profilazione razziale, la racial profiling, cioè l’influenza di fattori razziali o etnici nel determinare l’azione delle forze dell’ordine nei confronti di un individuo umano e della conseguente e molto discussa azione di abbattimento delle statue e rimozione dei simboli razzisti e colonialisti da parte del movimento Black Live Matter, che ha percorso tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Italia – ha riportato il mio pensiero a ciò che Christo e sua moglie Jeanne-Claude Denat fecero per tutta la loro vita: ovvero, non abbattere e distruggere le statue, non cancellare il ricordo di quello che è dolorosamente e tristemente stato, ma impacchettarlo, chiuderlo, imprigionarlo.
In definitiva, arrestarlo.

Statua di Indro Montanelli imbrattata – Giardini pubblici in via Palestro, Milano
Dunque, l’opera indimenticabile di Christo e Jeanne-Claude ci pone delle domande su cui è necessario riflettere:
“Perché invece di abbattere la statua di Cristoforo Colombo, accusato per la sua scoperta portatrice di genocidi, o la statua di Indro Montanelli, accusato di razzismo, suprematismo, antimeridionalismo, non la impacchettiamo?” “Perché non recuperare quello che non fu?” “Perché non arrestare in questo modo chi ingiustamente non fu imprigionato a suo tempo?”.