Oggigiorno sentiamo spesso parlare di sovraffollamento delle carceri, all’apparenza il più grande dei problemi delle strutture penitenziarie. Anche il più grande ostacolo al processo di rieducazione al quale ogni detenuto, secondo l’Articolo 27 della nostra Costituzione, ha diritto di intraprendere con la reintroduzione nella società come fine ultimo.
Ma siamo sicuri che ciò sia l’unico problema dei nostri istituti di pena? E che invece anche la mancata organizzazione strutturale di essi non influenzi direttamente la qualità della vita dei detenuti? E che il peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti non sia direttamente collegato con i problemi di suicidi dei detenuti, uso e abuso di sostanze stupefacenti all’interno delle strutture penitenziarie? Argomenti che spesso passano in secondo piano rispetto al sovraffollamento e che minano in maniera preoccupante e drammatica il processo di ritorno alla normalità.
I dati
I detenuti in Italia sono circa 60.000 in carceri che sono fatte per ospitare all’incirca 50.000 carcerati. La percentuale di sovraffollamento sfiora il 120% a livello nazionale con il picco massimo di 159% in Puglia. Siamo il paese peggiore in Europa, seguiti da Francia e Ungheria.
In questo ambito, come anche in molti altri, l’Italia non è sicuramente un esempio da seguire.
Le condizioni di vita e gli sbocchi socio-culturali dei detenuti stanno diminuendo. Secondo lo studio Antigone il 30% delle carceri non dispone di spazi verdi per il contatto con l’esterno. Nel 65% delle carceri non è possibile contattare i familiari via Skype e in 81 carceri su 100 non è previsto un collegamento a internet.
Queste privazioni contribuiscono a problemi di suicidi dei detenuti e uso e abuso di sostanze stupefacenti all’interno delle strutture penitenziarie.
Nel 2018 circa il 29% dei detenuti italiani hanno fatto ricorso a terapie psichiatriche e psicologiche, mentre sono stati 63 i casi di suicidio.
Il corpo di polizia penitenziaria è composto da circa 10 mila unità in meno. Ciò non sempre garantisce una giusta sicurezza e un adeguato ordine che può sfociare in rivolte e disordini dei detenuti e l’introduzione di sostanze stupefacenti. Nel 2015 è stato stimato che in Italia circa il 60% dei detenuti faccia uso di droghe, il 33% cannabis, il 40% cocaina e circa il 5% anfetamine. Solo nel 2011 nel carcere “Le Vallette” di Torino sono stati sequestrati 6 kg di droghe di diversa natura.
Le condizioni di vita influenzano direttamente lo stato fisico e psicologico dei detenuti, che sottoposti a tali stress e problematiche potrebbero perdere ogni speranza di miglioramento e di reinserimento in una società che, vuoi per paura, vuoi per pregiudizi, tende sempre di più a emarginare i soggetti che hanno avuto un qualsiasi problema con la giustizia. Dovremmo quindi essere noi, anche prima delle istituzioni, a cambiare: cambiare soprattutto mentalità e approccio verso delle persone che, per loro volontà o per sfortuna della sorte, hanno intrapreso strade sbagliate.