“Non so disegnare. Non so dipingere. Per me l’arte è vuota. Sono gli spettatori a fare il lavoro degli artisti.” Maurizio Cattelan nasce nel 1960 a Padova, da padre camionista e madre donna delle pulizie. Completamente autodidatta, nel giro di trent’anni diventerà l’artista italiano più quotato al mondo.
Le opere
Le sue opere parlano di storia, religione, vita e morte: chiave di lettura? Ironia e provocazione.
Cattelan non può essere incasellato in un movimento artistico. E Dio sa che i critici ci hanno provato. Ad oggi, dopo essere passato per gli appellativi di neo-surrealista del terzo millennio e nuovo Piero Manzoni, è stato catalogato come neo-duchampiano. E’ troppo pigro per seguire un sentiero coerente e troppo irrisorio per appagare il sistema dell’arte con un gruppo artistico.
Le sue opere si prestano a innumerevoli interpretazioni. Egli utilizza immagini e situazioni proprie a tutti, rielaborandole per renderle scioccanti.
L’esempio madre della sua irriverenza è una delle sue prime opere. Nel 1993 espone a Londra i detriti del PAC fatto esplodere dalla mafia. Senza rendere chiaro che i pezzi di cemento erano resti di un attacco terroristico, lascia l’opera davanti alla Tate e scappa a New York. Diventa così un artista americano, per modalità di produzione ed esecuzione.
L’intento
Egli non punta mai a fare una dichiarazione, dare una spiegazione o un chiarimento. Il suo obiettivo è insinuare il dubbio nella mente dello spettatore. Come lui stesso dice, è l’osservatore che crea l’arte. Il pensiero filosofico dietro un’opera che potrebbe essere priva di significato.
Ha sempre cercato di sfuggire dalle responsabilità di un artista (spesso create dal pubblico, perché l’arte non è nata per essere giudicata), rifiutando di prendere il lavoro suo e degli altri con serietà. E fino ad ora gli è riuscito bene.
Quasi come uno studente ribelle, Cattelan escogita modi di scioccare e infastidire la cricca dell’arte contemporanea, attirando l’attenzione del grande pubblico sui difetti che essa presenta. Poi pianificando fughe e ritirate che non sono mai vere. Si va dalla denuncia di un’opera mai esistita per lanciare un finto grido di attenzione a una fune di lenzuola gettate da una finestra, come a dire “non ce la faccio, scappo”.
A dirla tutta non è mai stato un bravo scolaro. Ce lo dice negli autoritratti nascosti nelle sue opere, come “Charlie don’t Surf”, del 1997, una scultura di cera raffigurante un bambino con delle matite conficcate nelle mani, a indicare la prigione che secondo lui era la scuola.
Stadium, il debutto
A volte l’opera di critica è molto chiara, come nel caso di Stadium, 1991, la sua opera di debutto. Consiste in un calciobalilla lunghissimo su cui si sfidano due vere squadre di calcio. Una è composta dalle 11 (uomini bianchi) riserve del Cesena e una da 11 (uomini neri) operai senegalesi, come a rappresentare la lotta della benestante società italiana per mantenere “puro” e libero il territorio nazionale.
Him
Un altro esempio è Him, 2001, una statua di cera a forma di Hitler, nel corpo di un bambino inginocchiato in preghiera, dagli occhi commossi. La critica al genocidio è chiara, ma la posizione e le fattezze del tiranno suggeriscono che forse non è giusto considerarlo l’unico colpevole. E’ stato forse influenzato dagli ideali dei suoi genitori, o da qualche Dio di cui ora invoca il perdono? Cinque anni dopo l’opera viene collocata nel ghetto di Varsavia, e battuta all’asta per 17 milioni di dollari. Abbastanza provocatorio, no?
La Sesta Biennale Caraibica
Le sue opere, però, non sono solo fisiche. E’ successo spesso che rimbalzassero tra “happening” e “performance”. Nel 1999 organizza la 6° Biennale Caraibica, invitando ad esporre artisti di fama mondiale. Quando arrivano sul paradiso terrestre, insieme alle immancabili flotte di critici, scoprono però che la biennale non è mai esistita, men che meno con cinque precedenti edizioni. L’opera consisteva nella vacanza gratuita di due settimane offerta agli artisti invitati.
La Fondazione Oblomov
Allo stesso modo ragiona quando crea la Fondazione Oblomov nel ’99. Chiede a cento persone di donare una somma complessiva di 10.000$ da dare ad un artista in cambio della promessa di non esporre niente per la durata dell’anno successivo. Tutti gli artisti selezionati rifiutano, Cattelan prende i soldi e scappa.
La critica
A detta di alcuni a volte esagera, come nell’esposizione nel 1999 di “A prefect day”. L’opera consisteva nel gallerista Massimo de Carlo appeso al muro della galleria con dello scotch adesivo. A fine giornata, l’uomo venne ricoverato in ospedale senza sensi. Anche nel caso dei tre bambini (finti) impiccati in una piazza milanese, dagli occhi sbarrati. Un uomo si sentì così oltraggiato dall’immagine che nel tentativo di tirare giù i fantocci appesi all’albero, cadde e finì all’ospedale. Il significato dell’opera in realtà era quello di sensibilizzare alla violenza che tutti i giorni vediamo in televisione senza renderci conto di quanto sia reale. Nel momento in cui siamo messi di fronte alla crudezza della morte, ci sembra troppo brutto, troppo svergognato, e non riusciamo ad accettare che nel mondo succede davvero.
E ancora possiamo parlare de La Nona Ora, un altra statua di cera raffigurante il papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite. Immagine utilizzata anche da Sorrentino nel film The New Pope. Anche qui, elencare i possibili significati dell’opera sarebbe lungo e complicato, e comunque quasi sicuramente scorretto. La cosa più probabile è che Cattelan abbia voluto rappresentare la figura del papa come un “eroe distruttibile”, citando il passo della bibbia in cui Cristo chiede a Dio perché l’ha abbandonato. La mia personale interpretazione è che il papa è un dinosauro, e presto o tardi l’estinzione arriverà anche per lui, ma questo non possiamo saperlo.
Insomma, secondo me a Cattelan piace mandare a quel paese le icone del mondo moderno. Ce lo dimostra anche nel grande dito medio installato in Piazza Affari a Milano, davanti al palazzo della Borsa. Un po’ un saluto fascista mutilato, un po’ un irriverente gesto gratuito. Un po’, essendo che la manona non è rivolta verso la Borsa ma al contrario, sembra che stia esplicitando con un gesto il modo di fare della finanza italiana. Cioè mandandoci tutti affanc**o. L’ha intitolata L.O.V.E.: un acronimo di Libertà, Odio, Vendetta ed Eternità.
Comedian
Per finire, parliamo finalmente dell’opera che ha fatto infuriare mezzo mondo. Davanti alla quale tutti ci siamo chiesti: ma chi cavolo gliel’ha detto che questa roba si può chiamare arte?
L’opera si chiama Comedian. E’ composta da una banana appesa al muro con dello scotch. Secondo molti è una citazione della celebre opera di Anselmo, la Scultura che Mangia: rappresentava un cespo d’insalata costretto tra due blocchi di marmo tenuti insieme da un filo. Il significato era ambiguo, ma sicuramente parlava del tempo infermabile, che avrebbe fatto marcire l’insalata e consumato il filo finché le pietre non fossero cadute.
Probabilmente, senza le istruzioni e la scheda tecnica dell’opera a spiegare come mantenerla, si sarebbe distrutta in poco tempo, e credo fosse quello che Cattelan cercava di dire con la sua banana. Non ha niente di speciale o originale come opera, ed è per questo che Cattelan l’ha giudicata ideale per tornare a bomba sul mercato dell’arte. Comedian è stata rivenduta tre volte, a 120 milioni di dollari, solo per poi essere mangiata da David Datuna, che ha dichiarato la sua performance, Hungry Artist, una risposta alla domanda dell’artista, presumibilmente “a cosa serve una banana?”
Ornata da una laurea ad honorem in Sociologia, un titolo onorario di professore all’Accademia di Carrara e il titolo di artista italiano più quotato del mondo, la testolina di Maurizio Cattelan è piuttosto interessante, non credete? Se la coerenza ha qualcosa di eroico, egli è l’anti-eroe dell’arte, pigro e sfacciato, che opera con minimo sforzo e ottiene il massimo risultato.