Il recente caso della cooperante milanese Silvia Romano, tornata in Italia il 9 maggio 2020, ha acceso i riflettori dell’opinione pubblica anche sugli altri italiani che si trovano ancora sotto sequestro in paesi a rischio. Vediamo nel dettaglio le loro storie.
Padre Paolo Dall’Oglio
I fondamentalisti islamici lo hanno rapito in Siria il 29 luglio 2013, mentre si trovava a Raqqa, città tristemente famosa per essere diventata capitale dell’autoproclamato Stato Islamico di Abu Bakr al Baghdadi.
La biografia
Prete gesuita, nacque a Roma nel 1954. Dopo la militanza giovanile nelle fila di Lotta Continua, prese i voti e successivamente intraprese gli studi universitari in Libano. È noto soprattutto per aver fondato negli anni 80 la comunità monastica al-Khalil (attributo riferito ad Abramo, che significa “amico intimo” di Dio) nell’antico monastero di Deir Mar Musa al-Habashi , in Siria. Si trattava di una comunità spirituale ecumenica mista, che promuoveva lo scambio interreligioso tra cristiani e musulmani.
In Siria
La sua grande apertura culturale, l’interesse per la politica e l’esplicita avversione verso il regime di Bashar al-Assad lo resero un personaggio molto scomodo sia per i fondamentalisti, sia per il regime, ma anche per i vertici cattolici del paese. Per esempio, denunciò per pedofilia Isidore Battikha, vescovo di Homs. Nonostante Assad lo avesse espulso dal paese nel 2011, Dall’Oglio aveva lasciato la Siria solo nel 2012, per poi tornarci l’anno successivo nei territori controllati dai ribelli. Quando è stato catturato nel 2013 stava infatti trattando con un gruppo di jhadisti per la liberazione di alcuni ostaggi curdi. Sembra che inizialmente lo abbiano rapito alcuni membri di Al Qaeda, successivamente invece è caduto nelle mani dei miliziani dell’Isis.
Cosa si sa di lui?
Nonostante Raqqa sia stata liberata nel 2017, non si sa ancora nulla di padre Paolo. La sorella Francesca ha dichiarato lo scorso 29 luglio che Dall’Oglio aveva denunciato gravi questioni relative alla guerra, agli armamenti e ad altre problematiche potenzialmente pericolose. Dunque avrebbe potuto trovarsi in un gioco più grande di lui al momento della scomparsa. Sulla sua condizione attuale le fonti sono discordi, come ha sottolienato un articolo di Wired. Infatti, quelle arabe e francesi riportano la sua uccisione, mentre il Times, citando fonti curde, sostiene che Dall’Oglio sia ostaggio dell’Isis insieme ad una fotogiornalista inglese e ad un’infermiera neozelandse. Il 16 novembre scorso il dipartimento di Giustizia americano ha stanziato una ricompensa di 5 milioni di dollari per chi fornirà informazioni sul prete italiano e su altri ostaggi dell’Isis.
Padre Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio
Le ultime notizie
I nomi di un missionario lombardo e di un ingegnere campano, entrambi dispersi in Africa, sono legati da un filmato girato probabilmente nel nord del Mali il 24 marzo 2020, che li ritrae insieme, ancora vivi. Il video è stato inviato il 6 aprile 2020 all’agenzia giornalistica nigeriana Air Info Agadez. Nel filmato Padre Maccalli e Nicola Chiacchio si presentano e dicono che giorno è, parlando in francese. Probabilmente sono entrambi sotto il controllo degli estremisti di Nusrat al-Islam, lo stesso gruppo salafita che aveva rapito Luca Tacchetto e Edith Blais, entrambi tornati in Italia a marzo.
Padre Maccalli
Padre Luigi Maccalli, noto come “padre Gigi”, è un religioso della Società delle Missioni Africane (Sma), sequestrato la sera del 17 settembre 2018 nel villaggio di Bomoanga, a circa 150 km da Niamey, capitale del Niger. È un missionario di 59 anni originario di Madignano, in provincia di Crema. Negli anni precedenti aveva già prestato servizio come missionario in Costa d’Avorio. In Niger si era distinto per il suo impegno nel contrastare le pratiche di infibulazione.
Nicola Chiacchio
Di Nicola Chiacchio invece non si sa molto. 48 anni, è un ingegnere di Grumo Nevano (Napoli) e sarebbe stato rapito alcuni anni fa probabilmente in Mali, zona dove il gruppo Nusrat al-Islam è particolarmente forte, mentre viaggiava come turista. Era solito infatti fare lunghi viaggi in moto e in bicicletta.
Vincenzo Cimmino, Raffaele e Antonio Russo
Cosa è successo?
La vicenda dei tre napoletani, spariti in Messico il 31 gennaio 2018, è completamente diversa da quelle degli altri italiani ancora dispersi. In questo caso infatti, non è implicato alcun gruppo fondamentalista e le notizie sono ancora più scarse e confuse. Il sessantenne Raffaele Russo, il figlio Antonio di 25 anni e il nipote Vincenzo di 29 si trovavano in Messico per vendere generatori elettrici e altri oggetti importati da Napoli. Il primo a sparire è stato Raffaele: successivamente il figlio e il nipote, che erano andati a cercarlo, sono stati rapiti nei pressi di Tecalitlán, nello stato di Jalisco.
Cartelli della droga e polizia locale
Come spiega Claudio Falleti, vicepresidente dell’Organizzazione mondiale avvocati e legale della famiglia, intervistato da Wired, dalle indagini è emerso il coinvolgimento nel rapimento degli italiani sia dei narcos che della polizia locale. Non sembra casuale infatti il contemporaneo arresto di José Guadalupe Rodriguez Castillo, soprannominato el Quince, uno dei boss del Cártel de Jalisco Nueva Generación, che sembra aver avuto un ruolo centrale nella vicenda. El Quince è stato successivamente scarcerato, ma il 15 ottobre 2019 ha preso parte ad un agguato in cui sono rimasti uccisi 13 poliziotti. Tuttavia, sembra che proprio alcuni membri della polizia locale siano coinvolti nel sequestro dei tre napoletani. Quattro poliziotti infatti sono stati arrestati e hanno confessato di aver rapito e venduto i tre uomini al cartello di Jalisco.
La vicenda rimane però ancora molto oscura: l’avvocato Faletti lamenta infatti una certa inattività del governo messicano, nonostante due processi aperti, e uno scarso operato dei ministri italiani. Secondo gli esperti, questo è un sequestro atipico: è inusuale che siano stati presi tutti e tre gli uomini, non sia stato richiesto alcun riscatto, né sia mai arrivato un messaggio da parte dei rapitori. Secondo il procuratore dello stato di Jalisco Raùl Sànchez la causa del sequestro dei tre napoletani potrebbe essere l’attività da loro condotta in Messico. I tre infatti vendevano generatori e macchinari agricoli a basso prezzo, ma di scarsa qualità, spacciandoli invece per prodotti di alta gamma, un’attività pericolosa in un territorio controllato dai narcos. L’ipotesi che i tre vendessero merce contraffatta ha spinto molti a sostenere che “se la siano cercata”.