In questo periodo di emergenza sanitaria, il vecchio continente si trova in un momento di difficoltà che ha pochi precedenti. Le spese straordinarie che gli stati UE si trovano ad affrontare nella lotta al coronavirus sono necessarie per la sanità, per fronteggiare la crisi delle imprese e sostenere le famiglie.
Le risposte per finanziare i settori in crisi sembrano dividere l’Europa. Le richieste di alcuni paesi, tra cui l’Italia, non hanno convinto i partner europei nordici come Germania e Olanda; gli ormai tanto osannati EuroBond restano un tabù.
Sul tema si è consumata, e poi in parte ricomposta, la rottura al Consiglio Europeo di giovedì tra i Paesi “deboli”, guidati da Francia e Italia, e quelli “frugali”, vicini alla Germania. Per affrontare insieme questo sforzo economico dato dalla pandemia, i ministri delle Finanze sono ora alla ricerca di soluzioni. Sembra chiaro però che la parola coronabond (l’ultima versione degli eurobond) non verrà più utilizzata, soprattutto dopo le parole della presidente della commissione Ursula von der Leyen che per tranquillizzare l’opinione pubblica tedesca, li ha esclusi (salvo poi correggersi in parte, dopo le proteste italiane).
In circostanze normali, il confronto tra Paesi ”virtuosi” e paesi “generosi” non troverebbe alcuna soluzione: i primi hanno una cultura economica che rifugge dall’idea di aumentare senza necessità l’esposizione degli Stati, e temono di essere chiamati a garantire la dissolutezza dei secondi che invece ritengono che i debiti pubblici siano sempre necessari.
L’epidemia però ha cambiato molte cose, servirà più coesione perché l’interesse è comune. Devono tutti affrontare enormi spese che imporranno un aumento del debito pubblico. Se potessero usare la solidità della zona euro per finanziare le spese e garantire i debiti contratti, ci sarebbe un mutuo vantaggio. Come ha ricordato Mario Monti, un’emissione di bond da parte di un’istituzione europea avrebbe rischio zero e rendimenti bassissimi, uguali per tutti.
Occorre però mettere comunque d’accordo le esigenze divergenti dei partner. Le risorse raccolte in comune non dovrebbero essere destinate a spese discrezionali, che riguardino il singolo paese, ma solo per le priorità dettate a tutti dall’epidemia, senza inserire ad esempio investimenti in infrastrutture, che non avrebbero altro effetto che irrigidire le posizioni.
Posti questi vincoli, le questioni tecniche sono superabili. Sono state infatti avanzate diverse ipotesi. Una di queste è stata proposta su voxeu.org da economisti di tutta Europa, tra i quali Agnès Benassy-Quéré, Marcel Fratzscher, Clemens Fuest, Francesco Giavazzi, Jean Pisani-Ferry che pensano ad una linea di credito, messa a disposizione di tutti dal Fondo salvastati (MES), con una lunga durata e condizioni minime che assicurino il “buon uso” delle risorse.
Le tante proposte, tra cui questa, sono al vaglio della comunità europea che deve al più presto trovare una soluzione. Serve farlo per il bene dei singoli stati, ma soprattutto per il bene dell’Unione.
Fonti : Il sole 24 ore, Milano Finanza, Il tempo.