Tra le tante conseguenze che il COVID-19 sta innescando irrefrenabilmente sul sistema economico internazionale vi è anche una nuova corsa all’oro.
Sul mercato globale, un’oncia d’oro (31,1 grammi) viene attualmente scambiata a oltre 1620 dollari e nei giorni precedenti il prezzo ha persino toccato i 1703 dollari: il livello più elevato negli ultimi sette anni.
Ma perché tutti ripiegano proprio sui lingotti? “La liquidità che esce dall’azionario viene riposta nei porti sicuri, il primo dei quali è l’oro”, spiega Carlo Alberto De Casa, capo analista di ActivTrades, in un’intervista per La Repubblica. L’oro è infatti il bene rifugio per eccellenza, soprattutto in tempi di crisi e crolli delle Borse.
La pandemia ha però gettato nel caos il mercato aurifero globale, determinando una vera e propria crisi di liquidità: la domanda di lingotti ha raggiunto livelli tali da costringere gli investitori ad attendere pazientemente poiché le riserve a disposizione non risultano essere sufficienti.
“I volumi da noi sono decuplicati e le forniture vanno avanti col contagocce”, spiega Andreas Hablützel, direttore della Degussa Goldhandel di Zurigo, la quale per il momento è in grado di soddisfare le richieste dei compratori ma potrebbe incontrare evidenti difficoltà qualora il trend dovesse continuare ad aumentare.
Banche e fondi di investimento si trovano quindi di fronte ad un pesante deficit di lingotti d’oro. Per quanto riguarda il contesto statunitense, a riferirlo è il Wall Street Journal, in cui si afferma che la domanda di metallo giallo è divenuta così rilevante da costringere gli istituti di credito americani a importare oro dal Canada e dalla Gran Bretagna. Anche in questo caso però le difficoltà non vengono meno, poiché il trasferimento dei lingotti verso le località in cui sono maggiormente richiesti è ostacolato dalla paralisi dei voli.
Questo fenomeno ha innescato inoltre movimenti di prezzo del tutto anomali che potrebbero potenzialmente impattare sull’andamento degli altri asset finanziari, dai titoli di Stato alle valute.
Il profondo senso di allarme che comprensibilmente scaturisce questo tipo di situazione ha perciò indotto ad intervenire l’organismo che coordina e monitora il mercato aurifico londinese, la London Bullion Market Association (Lbma), la quale ha affermato che sta intrattenendo un dialogo con tutti gli operatori coinvolti per assicurare l’efficiente funzionamento del mercato globale e facilitare la consegna fisica della materia prima a New York.
La scarsità dell’offerta inoltre stupisce in maniera così rilevante perché, a differenza del petrolio o del grano la cui disponibilità non è sempre garantita, l’oro si può fondere e rigenerare all’infinito. Inoltre, storicamente i raffinatori non hanno mai chiuso i battenti; neanche in occasioni di guerra, crisi finanziarie o disastri naturali. Ma anche questa certezza non è più da considerarsi tale in tempi di Coronavirus.
Le misure cautelari volte ad evitare il contagio hanno infatti causato la chiusura in Svizzera di tre delle più importanti raffinerie d’oro al mondo e rallentato incisivamente i ritmi di attività delle miniere in molteplici Paesi produttori, tra cui Sudafrica e Canada in particolare.
“L’oro fisico è quindi nel posto sbagliato o nella forma sbagliata ed è impossibile spostarlo facilmente”, sintetizza John Reade, Chief market strategist del World Gold Council.
Fonti: La Repubblica, Il Sole 24 Ore, SWI Swissinfo.ch