Fidel Castro è sicuramente una delle figure più importanti e influenti della storia contemporanea. Ogni angolo de L’Avana è tappezzato con la sua immagine. La divisa militare, l’immancabile cappellino, la barba folta e ribelle, il tipico cohiba tra le labbra. La sua rivoluzione, guidata insieme al fratello Raùl e a Che Guevara, diede inizio per Cuba ad un periodo storico estremamente complesso, che lo ha reso un paese dilaniato dalla povertà interna e dalle battaglie ideologiche combattute a livello internazionale. L’ex presidente della repubblica cubana è morto nel 2016, forse nell’anno più importante della storia del paese. Quello della celebre “passeggiata di Obama”, il primo presidente americano a mettere piede a Cuba dopo 88 anni. Il lider maximo ha dedicato la maggior parte della propria vita all’opposizione contro la politica imperialista statunitense.
A Cuba, infatti, il tempo sembra essersi fermato a prima della caduta del muro di Berlino. E se con Barack Obama sembrava giunta la fine anche dell’ultimo baluardo della guerra fredda, con Donald Trump si è nuovamente interrotto il ponte diplomatico tra lo stato socialista e gli Usa. The Donald continua ad incolpare di autoritarismo il governo cubano, che in risposta accusa di terrorismo il governo degli Stati Uniti. La Casa Bianca, in passato, avrebbe cercato in tutti i modi di sabotare il regime castrista, tentando addirittura 638 attentati all’ex Presidente Fidel Castro. Che siano accuse vere o meno, di sicuro evidenziano la complessità del rapporto tra Cuba e Stati Uniti.
La rivoluzione a Cuba
Nel 1959 un gruppo di rivoluzionari cubani, guidato da Fidel e Raul Castro e dall’argentino Che Guevara, rovesciò il governo filoamericano di Fulgencio Batista, che deteneva il potere a Cuba. Il Movimento del 26 luglio, allontanati “gli invasori statunitensi”, diede inizio ad una vera e propria rivoluzione socialista e costituì una nuova Repubblica. Resa ufficiale nel 1976, essa era fondata sui principi del comunismo e sull’ideologia marxista, oltre ad essere strettamente legata, soprattutto a livello economico, all’Unione Sovietica. L’ex governo guidato da Fulgencio Batista aveva aperto i confini del paese alle multinazionali statunitensi, le quali per prime subirono le conseguenze della rivoluzione. Il nuovo regime impose la nazionalizzazione delle imprese, specialmente quelle “estere”, e cominciò a tessere legami con il Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
La reazione degli Stati Uniti fu dura, sia per il grave danno economico, ma soprattutto per quello simbolico. In piena guerra fredda, a pochi chilometri dalle spiagge di Miami, era nato un nuovo paese comunista, forse il più importante a livello strategico per il “blocco sovietico”. Fidel Castro affermò in un celebre discorso che “gli Usa non avevano digerito il fatto che fosse avvenuta una rivoluzione socialista proprio sotto il loro naso”. I rapporti degenerarono completamente con l’embargo commerciale imposto dal presidente Kennedy a Cuba nel 1961. L’economia cubana subì un durissimo colpo e rese il paese sempre più dipendente dall’Unione Sovietica, che versava nelle casse del governo una somma pari a otto milioni di euro al giorno.
Il terrorismo statunitense
Gli Stati Uniti, tuttavia, non si limitarono a imporre solo un embargo commerciale. Secondo il governo cubano, la Casa Bianca, tramite la CIA, negli anni ha portato avanti numerosi tentativi di sovvertire il regime socialista. Uno di questi, probabilmente il più celebre, risale al 1961 e riguarda la cosiddetta invasione della Baia dei Porci. Il 17 aprile oltre 1500 esuli cubani anticastristi sbarcarono a Playa Giròn, armati e sostenuti dalla forza aerea della CIA e da alcune navi della marina statunitense. L’operazione “Zapata” fu promossa dall’allora direttore dell’intelligence americana Allen Dulles e sostenuta dal Presidente degli USA Eisenhower e dal suo successore Kennedy. L’invasione e soprattutto i tentativi di mantenerla segreta si rivelarono un fallimento. Già prima che cominciasse la fase preparatoria, la notizia che un centinaio di emigrati cubani fossero stati addestrati dalla CIA era diventata di dominio pubblico ed erano emerse posizioni contrastanti.
Le conseguenze
Fidel Castro definì l’invasione della Baia dei Porci come “l’ennesimo tentativo di aggressione imperialista nei confronti dell’America Latina da parte degli Stati Uniti”. Lo stesso Presidente Kennedy reagì duramente al fallimento dell’operazione. Licenziò il direttore della CIA Allen Dulles e avviò un’indagine interna nell’intelligence. La fallita invasione ebbe gravi conseguenze e deteriorò ulteriormente i rapporti tra Cuba e Usa. Il generale cubano decise immediatamente di munirsi di un sistema di difesa missilistico in prospettiva di un nuovo attacco degli Stati Uniti. Da questa situazione scaturì la storica crisi dei missili cubani, uno dei momenti di più alta tensione tra l’Unione Sovietica, che aveva fornito le armi al governo castrista, e gli Usa. Determinante, tra le altre cose, la “promessa” degli Stati Uniti di non tentare più invasioni nel territorio cubano.
La guerra biologica contro Cuba
Tuttavia i tentativi di rovesciare il regime di Castro non finirono. Numerose accuse sollevate dalla fazione comunista riguardano ipotetici attacchi biologici che gli Usa avrebbero condotto in segreto contro Cuba. Tra gli anni ’70 e ’80 oltre quattro epidemie sarebbero state scatenate dalla CIA tramite virus modificati geneticamente, col fine di distruggere il settore agricolo e decimare la popolazione. Negli anni ’60 l’intelligence americana avrebbe introdotto la cosiddetta malattia di Newcastle, che sterminò gli animali da allevamento, causando una forte crisi nel settore alimentare. Anche l’epidemia di dengue che causò la morte di 101 bambini viene fatta risalire al bioterrorismo statunitense.
Prove che possano sostenere accuse tanto gravi non ci sono. Virus e malattie, com’è noto, proliferano specialmente in situazioni di povertà. In seguito al taglio dei fondi da parte dell’Unione Sovietica, l’economia di Cuba subì una forte recessione e tra le prime istituzioni a cedere furono quelle che il governo di Fidel Castro aveva reso universalmente gratuite, come la sanità. Tuttavia in alcuni documenti della CIA, desecretati da Donald Trump nel 2017, emerge come il governo Kennedy e l’intelligence abbiano effettivamente pensato all’introduzione di agenti patogeni artificiali che potessero mettere in seria crisi l’economia cubana. Nonostante ciò, nei documenti non ci sono dati che provino che le proposte siano state messe in atto.
Il turismo
Con la recessione economica e il permanente embargo commerciale, il governo di Fidel Castro tentò di porre nuova fondamenta all’economia cubana. Il lìder màximo puntò tutto sul turismo, iniziando una politica di ristrutturazione dei centri storici e delle zone costiere. Negli anni ’90 tuttavia, quando cominciavano ad esserci cenni di ripresa economica, una serie di attentati terroristici colpì il paese. Nel 1997 nel giro di due mesi esplosero cinque bombe in cinque diversi hotel. In particolare il 4 settembre, ci furono tre esplosioni a poche ore di distanza. In una di queste, all’Hotel Copacabana perse la vita anche un imprenditore italiano, Fabio Di Celmo. Secondo le forze castriste i mandanti di questi attentati terroristici sarebbero stati proprio gli Stati Uniti, nel tentativo di fermare il flusso turistico che stava rianimando economicamente Cuba.
Dietro le bombe ci sarebbe stata direttamente la Fondazione Nazionale Cubana Americana (FNCA), organizzazione con sede negli Stati Uniti che raccoglie esuli cubani anticastristi. La fondazione si propone come movimento per la liberazione di Cuba dal regime castrista. Ad indicarla come mandate fu Raul Cruz Leon, l’attentatore arrestato subito dopo le esplosioni. La FNCA si sarebbe inoltre resa protagonista di campagne anticastriste tramite radio e giornali. Tuttavia resta ancora senza prove un eventuale ruolo del governo degli USA dietro gli attacchi degli anni novanta.
Oltre il comunismo
I complicati rapporti tra Cuba e Stati Uniti sono da imputarsi principalmente alle radici comuniste del governo castrista. Tuttavia il discorso può anche andare oltre questa unica prospettiva. L’origine dei contrasti, secondo alcuni studiosi, non andrebbe identificata con la rivoluzione castrista, ma con la fine del colonialismo spagnolo di fine ‘800. Gli Stati Uniti avrebbero da sempre preso di mira l’isola per la sua posizione strategica e per le sue risorse. Sarebbe dunque l’imperialismo statunitense la causa scatenante. Fidel Castro era inoltre tra i maggiori promotori per l’unità dell’America Latina, al contrario sempre temuta dalla Casa Bianca. L’isolamento commerciale e culturale di Cuba ha dunque motivi sia ideologici che economici.
Nel 2016 Barack Obama aveva promosso un ponte diplomatico tra i due paesi. Con l’elezione di Donald Trump tuttavia la situazione è tornata nuovamente in stallo a causa della linea dura riguardo la politica estera dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Ancora oggi il tema del terrorismo statunitense nei confronti di Cuba è fortemente dibattuto, anche all’interno dei confini americani. Un ormai settantenne Fidel Castro, che da giovane tentò di imparare l’inglese, alla domanda di un giornalista statunitense sui progressi fatti rispose che “aveva ormai dimenticato la lingua per tutte le volte che avevano tentato di ucciderlo”. Anche Noam Chomsky, uno dei maggiori intellettuali viventi e tra i più critici della politica imperialista degli Usa, lo ha definito come uno dei più gravi casi di terrorismo di stato.