Due giorni di trend negativo. E nettamente negativo. È la fine del coronavirus?
Le conseguenze della pandemia
La pandemia di coronavirus è ormai l’elemento che condiziona le nostre vite. Nulla è più come prima. Non si può uscire di casa senza un’autocertificazione. Le scuole sono chiuse, gli eventi cancellati. Il campionato di Serie A sospeso, come mille altri sport. E questo per ricordare le cose meno importanti.
Tra le conseguenze principali del coronavirus ci sono i morti. 6.077 nel momento in cui scrivo. Dati devastanti, soprattutto se comparati al resto del mondo. In Italia il coronavirus ha una mortalità superiore al 10%, mentre in altri Paesi, come la Germania, il tasso di letalità si avvicina allo “zero virgola”. Quel che rimane costante nei vari Stati è il tasso di ospedalizzazione: 10%. Una persona su dieci, tra coloro che vengono infettati dal coronavirus, finisce in ospedale. Una percentuale elevatissima, che ha posto allo stremo i sistemi sanitari dei vari Paesi. Tanto allo stremo che, in Spagna, hanno iniziato ad allestire ospedali di emergenza in dei padiglioni. L’area di Madrid è la più colpita. E non dimentichiamoci che tantissimi dei nostri connazionali sono bloccati nella penisola iberica, come vi abbiamo raccontato in questo articolo.
L’evoluzione dell’infezione in Italia
Come si fa a capire se si è davanti alla fine del coronavirus? Si guardano i dati. Tenendo presente, però, che la fine del coronavirus è lontana. Per dichiararla, bisognerà raggiungere uno zero assoluto dei casi in tutto il mondo, ed è difficile pensare che arrivi prima di alcuni mesi. Anche perché abbassare la guardia potrebbe essere fatale, dando il via a una nuova diffusione del virus.
Utilizzeremo i dati riferiti dal canale Telegram @CoronavirusNewsIta, che ringraziamo per il prezioso lavoro svolto in questi giorni.
17 marzo
Analizziamo i dati a partire dal 17 marzo, una settimana fa. Il 17 marzo era una data importante, perché in quei giorni si ha iniziato ad aspettare un trend in ribasso, nella speranza di vedere gli effetti delle misure restrittive adottate il 9 marzo dal primo decreto di chiusura.
Le speranze, tuttavia, sono state disattese. La crescita era continua, e sempre esponenziale. Non si vedeva il minimo calo, probabilmente a causa della scarsa efficienza delle misure adottate nei primi giorni per cercare una fine del coronavirus.
18 marzo
La crescita prosegue senza freni il 18 marzo. Leggendo questi dati, potreste essere portati a vedere un aumento di “solo” 2.648 infetti, che potrebbe lasciar presagire una fine del coronavirus. Invece no. L’aumento è di 4.207 unità.
Il dato da guardare è il totale, nonostante la maggior parte dei giornali continui a sbagliare. Il totale ci indica il numero totale di persone – attualmente malate, guariti e morti – che sono entrate in contatto con il coronavirus.
Il numero degli infetti indica invece solamente chi è in cura. Ci dà un’idea sulla pressione e sul lavoro a cui è sottoposto il Sistema Sanitario Nazionale, ma non ci dice molto sulla diffusione della pandemia. Questo perché, nel computo degli infetti, al dato dei nuovi contagiati (fra parentesi) va tolto quello dei nuovi morti e dei nuovi guariti. Quindi è un dato sottoposto alla variabile dei morti e dei guariti del giorno.
Per fare un esempio, se in un giorno ci fossero 4.000 nuovi casi, 1.000 nuovi morti e 1.000 nuovi guariti, il numero degli infetti vedrebbe registrato un +2.000. Mentre se i morti e i guariti fossero 0, il numero degli infetti vedrebbe un +4.000. Questa differenza ci sarebbe sebbene i nuovi casi siano gli stessi, 4.000.
Questo spiega perché, d’ora in poi, ci riferiremo esclusivamente al numero dei totali.
19 marzo
+5322. Questo l’aumento dei casi totali. Un numero desolante, a 8 giorni dal decreto di chiusura totale, deciso dalla Presidenza del Consiglio l’11 marzo. A peggiorare la situazione, c’è anche la comparazione fra guariti e morti. Più persone sono decedute di quelle che sono guarite. Un dato che dà un’idea della gravità della situazione. Ma perché in Italia muore così tanta gente in più rispetto alla Germania? Ve lo spieghiamo in fondo all’articolo.
20 marzo
Mentre i casi totali aumentano di quasi 6mila unità, vediamo anche un netto aumento dei morti, che raggiungono i 627. Fortunatamente i guariti aumentano ugualmente, con 689 persone in cura in meno.
Quando una persona viene considerata guarita?
Quando risulta negativa a due tamponi consecutivi eseguiti in meno di 24 ore. Questo doppio controllo è necessario perché, qualora uno abbia anche sconfitto le manifestazioni del virus – febbre, tosse, polmonite, etc. – ciò non vuol dire che non sia più portatore del coronavirus. Per dichiarare la fine del coronavirus all’interno di un corpo umano serve che il tasso di positività si azzeri. Per questo si fa il doppio tampone.
21 marzo
Una delle giornate che più hanno preoccupato il governo italiano, che infatti, dopo lunghe contrattazioni con i sindacati e Confindustria, ha deciso di chiudere tutte le attività produttive che non rientrino nella lista delle attività essenziali. Ad esempio, attività connesse ai settori alimentazione, energia, trasporti, sanitario.
I casi totali aumentano di 6.557, scollinando abbondantemente quota 6mila. Giornata nera anche per le morti, che sfiorano le 800 unità. Abbiamo tutti in mente le foto con le file di camion militari che portano via le bare dalla Lombardia perché non si riusciva a più a cremarli.
22 marzo
La prima giornata positiva, che fa sperare in un trend. Si passa dal +6557 al +5560. Sempre grave, sia chiaro, però in discesa. Alcuni asserivano che fosse dovuto a un calo dei tamponi, dovuto alla carenza dei reagenti nelle varie Regioni. Idee, però, che non hanno trovato conferme ufficiali. Resta comunque grave il numero dei morti, 651.
23 marzo
Per avere un trend serve una serie di giorni che vanno nella stessa direzione. In questo caso, serve avere un calo continuo, nell’arco di almeno 5 giorni, del numero dei casi totali. Tuttavia, la giornata del 23 marzo, se presa con le pinze, porta ottimismo. I dati, infatti, ci mostrano 4.800 casi nuovi. Dato positivo, perché vede un altro sostanzioso calo dei nuovi contagiati totali. Ricordiamo che per vedere i nuovi contagiati bisogna confrontare i totali e non gli infetti, per le ragioni spiegate nel report del 18 marzo.
A peggiorare la prospettiva sono i dati che arrivano dagli ospedali. I morti sono più di 6mila e il sistema sanitario è allo stremo
Perché in Italia si muore così tanto per il coronavirus?
Prima regola: comparare i dati sulla letalità del virus fra i vari Paesi è inutile. Seconda cosa: l’Italia è uno dei Paesi del mondo con la popolazione più vecchia. Fissati questi due criteri, approfondiamoli.
Partiamo dalla seconda osservazione. L’Italia è un Paese di vecchi. Lo sentiamo dire continuamente, e ha un fondo di verità. L’età media del Belpaese è molto più alta della Cina, o della Corea del Sud, o ancora della Germania. E i dati statistici ci mostrano che, più si va avanti con l’età, più si rischia quando si contrae il coronavirus. L’organismo è più debole, e il virus ha più mezzi per farsi strada, fino a causare la morte del soggetto. E se non si muore, comunque si rischia l’ospedalizzazione, e, con l’aumentare dei contagi, non è detto che ci sia posto per tutti. Per questo è importante restare in casa, e, se si hanno parenti anziani, evitare il più possibile il contatto con loro.
Perché è stupido comparare i dati sulla mortalità fra i vari Stati? Innanzitutto per le ragioni esposte nel paragrafo precedente. E poi perché ogni Paese ha sistemi sanitari diversi, climi diversi, condizioni di vita diverse. Infine, ragione principale, perché ogni Paese utilizza criteri diversi nello stabilire la causa della morte.
L’Italia, infatti, considera morto per il coronavirus chiunque, una volta deceduto con sintomi collegabili al virus, venga trovato positivo al tampone post mortem. La Germania, invece, solamente nel caso in cui non ci siano altre patologie concomitanti. Questo spiega perché i tedeschi hanno il tasso di mortalità più basso al mondo, mentre vedranno un aumento di casi mortali di tutte le altre patologie, dal diabete alla polmonite.
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