Da quando è iniziata la pandemia è capitato spesso di incorrere in tv o sui social nelle parole delle persone che vivono il pericolo più di tutti ogni giorno, ovvero medici e infermieri che lavorano nei reparti COVID. Quello che però mi sono chiesta è come la stessero vivendo gli operatori sanitari del Pronto Soccorso, che da sempre hanno a che fare con ogni genere di situazione. Per questo ho scelto di intervista una di loro.
Ciao Valentina, ti va di presentarti e parlarmi della tua professione?
Ciao, mi chiamo Valentina e ho 26 anni. Sono infermiera presso il Pronto Soccorso del policlinico Agostino Gemelli di Roma.
Da quanto tempo svolgi la tua professione? Hai lavorato in altri reparti rispetto al pronto soccorso?
Svolgo la mia professione da 48 mesi.Sono stata tirocinante in molti reparti come prassi all’università, ma da infermiera ho sempre lavorato in Pronto Soccorso.
Com’è cambiato il modo di lavorare con i pazienti dall’inizio della pandemia?
Il pronto soccorso è stato diviso in due aree, una destinata ai pazienti sospetti COVID o malati accertati, e un’altra per coloro che sono giunti in pronto soccorso per altri motivi. Per i secondi la procedura è rimasta la stessa con un proprio triage e le consuete procedure. Per i primi è stato realizzato un triage apposito in cui sono separati i casi sospetti che verranno sottoposti a tampone antigenico e i casi già accertati che sono venuti per peggioramenti della sintomatologia. Con l’aumento dell’organico, è possibile gestire i casi che arrivano. D’altra parte, il rapporto empatico con il paziente non è variato. Si cerca sempre di dare alla persona tutto ciò di cui ha bisogno.
Com’è cambiata la relazione tra colleghi?
Ovviamente c’è stato un cambiamento perché il carico emotivo da affrontare è maggiore e c’è il rischio di vivere la paura che il tuo collega possa essere vettore di contagio. Tuttavia, proprio alla luce della accresciuta difficoltà, si è sempre più portati a lavorare sulla forza dell’equipe per essere solidali e affrontare al meglio le situazioni critiche.
Qual è il tuo approccio con un paziente positivo? E se questo è un caso grave o se è un bambino?
Il mio approccio con i pazienti non è variato e non è possibile che questo possa variare. Prima di preoccuparci del fatto che la persona che abbiamo davanti sia un malato covid, ci dobbiamo ricordare che si tratta, appunto, di una persona e, per questo, è prioritario cercare ogni modo per curarlo e aiutarlo al meglio. La situazione richiede uno sforzo maggiore e un impegno empatico dal momento che le barriere delle protezioni e delle tute rappresentano un limite importante per la costruzione del rapporto con il paziente, ma ci proviamo sempre. Nel caso di un caso grave o di un bambino la situazione non varia. Forse, potrei dire che per i piccoli è ancora più difficile l’assistenza per le limitazioni relazionali (la copertura del volto, ecc.) e anche per via del senso di paura che potrebbe svilupparsi in loro in un contesto simile. Ma l’esperienza assistenziale, che ha sempre visto e continua a vedere nel rapporto umano e professionale la sua forza, continua abbastanza bene.
Il turno di lavoro è più stressante di prima?
Il turno è più stressante soprattutto per via delle protezioni. Trascorrere 8h in quel modo, a volte anche con difficoltà a respirare, non è agevole ma rappresenta l’unico compromesso possibile per continuare a fare quello che siamo chiamati a fare. Quindi direi che oltre alla comprensibile difficoltà nel mantenere la calma nelle situazioni più critiche, questa difficoltà fisica appesantisce le ore lavorative. Tuttavia è un continuo esercizio di dedizione che ripaga la fatica dopo ogni turno.
Se si presentano pazienti gravi per altri motivi, come gravidanza a rischio o incidenti stradali, riuscite a rispondere alla situazione con la stessa velocità?
Sì. Per quanto oggi si dica che “non ci si può ammalare se non di COVID19”, in realtà la nostra struttura ha aumentato con altre unità l’organico del Pronto Soccorso in modo da poter fronteggiare sia i casi COVID sia gli altri che sono e devono continuare ad essere trattati al meglio con tutto il personale necessario nelle sale di urgenza.
Nonostante le difficoltà insorte, sei ancora convinta della tua scelta professionale?
Se questa situazione mi abbia fatto cambiare idea sulla mia scelta di vita?
La risposta è decisamente no. Se pur la situazione sia complessa, pericolosa e difficile, rimane comunque quella dedizione che mi ha portato a scegliere questa professione il mio modo per offrire il mio contributo alla comunità.