In Italia, ad oggi, i 10 vaccini obbligatori che vengono somministrati ai bambini nei primi anni di vita comprendono quelli contro la poliomielite, la rosolia, la parotite, il morbillo e la varicella. Questi vaccini hanno due elementi comuni: primo, la malattia da cui ci proteggono ha origine virale. Secondo, la loro creazione avvenne usando cellule derivanti da feti abortiti. Non è una novità, anzi è un fatto noto e accettato da sessant’anni.
Come si producono i vaccini
I vaccini sono preparazioni artificiali ottenute in laboratorio che permettono di ottenere l’immunità verso una malattia senza dover affrontare la malattia stessa, che potrebbe causare sintomi da lievi a fatali. Piccolo prezzo da pagare: qualche minuto di bruciore causato dall’iniezione. Le soluzioni vaccinali contengono un antigene, ovvero quella parte del patogeno (solitamente virus o batterio) contro cui il nostro corpo deve produrre delle immunoglobuline, anche dette anticorpi.
Quando i globuli bianchi incontrano l’antigene per la prima volta producono anticorpi per contrastarlo e, successivamente, si ricordano di quel patogeno in modo tale da poterlo attaccare ed eliminare con più rapidità nel caso di un secondo contatto. La memoria dei globuli bianchi è la base della nostra immunità e i vaccini sono la soluzione rapida per ottenerla.
L’iter necessario per la produzione e la commercializzazione dei vaccini è, giustamente, lungo e laborioso, data l’importanza del prodotto finale. Le difficoltà sono presenti in ogni stadio del processo, dall’isolamento del patogeno ai test per la sicurezza e l’efficacia.
Nella preparazione dei vaccini contro i virus, a differenza di quelli contro altri microrganismi, si incontra una difficoltà aggiuntiva. I virus non hanno vita propria perché sono parassiti e necessitano di un organismo ospite per sopravvivere. Quindi, per ottenere una quantità sufficiente di virus per produrre milioni di vaccini, è necessario poterli coltivare in laboratorio. Ed è qui che entrano in scena le cellule dei feti abortiti.
Perché vengono utilizzate le cellule di feti nei vaccini?
Negli anni 60 sono state isolate due linee di cellule, denominate WI-38 e MRC-5, dal tessuto polmonare di due feti di circa 14 settimane, abortiti volontariamente. Il primo medico a interessarsi a queste cellule è stato Leonard Hayflick, oggi professore di Anatomia all’Università di San Franciso (UCSF), che al tempo lavorava al Wistar Institute di Philadelphia. Il suo interesse era guidato dalla convinzione che i tessuti potessero essere utilizzati per la produzione di vaccini per l’uomo.
Dopo aver isolato e coltivato con successo la linea cellulare WI-38 (le MRC-5 furono isolate qualche anno dopo), Hayflick descrisse una caratteristica di fondamentale importanza: le cellule erano, o meglio sono, immortali. Attenzione, questo non vuol dire che le singole cellule possono vivere per sempre. Significa che la coltura cellulare non muore nel tempo, poiché il potenziale di riproduzione delle WI-38/MRC-5 è molto più elevato del normale.
Si usano ancora oggi?
Le scoperte di Hayflick furono rivoluzionarie: le cellule immortali umane sono il contenitore perfetto per la replicazione virale. Non solo, le cellule si mantengono facilmente nel tempo – oggi usiamo ancora quelle isolate nel 1962 – quindi non è necessario prelevarle da altri feti.
Ovviamente entrambe le linee cellulari, brevettate, sono in vendita – congelate – sul sito della ATCC (American Type Culture Collection). La cifra è modica, se vi interessa: poco meno di 600 euro. WI-38 e MRC-5 sono utilizzate a livello mondiali per produrre milioni di dosi di vaccini contro l’epatite A, la rabbia e l’adenovirus. Oltre a quelli menzionati in apertura.
Non c’è dubbio che l’utilizzo nei vaccini di cellule prelevate da feti abortiti (sessanta anni fa) apra un grande dibattito di bioetica. Tuttavia, è importante ricordare che i vaccini salvano milioni di esseri umani ogni anno dall’ospedalizzazione, dal dolore fisico, dalla disabilità e, in gravi casi, dalla morte.