Non so se qualcuno se l’è mai chiesto, ma io una volta sì. Come sarebbe essere il figlio di un terrorista? Nascere e crescere all’interno di una famiglia il cui valore è la paura e la morte come mezzo di vendetta e redenzione, come sarebbe? Per caso ho scoperto che esiste chi questa esperienza l’ha vissuta e ora è in Italia per poterla raccontare. Si tratta di Alvin Berisha.
Immagina di essere un bambino che ha sempre vissuto la sua vita, col tuo papà e la tua mamma che dall’Albania hanno scelto un posto più bello per farti muovere i primi passi.
Immagina di aver sempre visto il bellissimo viso di tua madre e i suoi capelli così lucenti, di aver sempre potuto sfiorare la sua pelle e di sentirne il tocco sulla tua, un giorno vederla molto più buia, più scura, e un giorno all’improvviso di non riuscire più ad accarezzarle i suoi capelli o a trovare la sua pelle cercandola con le mani ma solo della stoffa nera che come un’ombra densa la copre tutta, lasciando scorgere solo una piccola finestra di viso. Quanto basta per capire che è lei solo dagli occhi e dalla voce.
Immagina di sentirla dire parole strane, nuove, di sentirla sempre litigare con papà e un giorno prenderti per mano e dirti che volerai con un aereo per un posto più “puro” chiamato Siria.
Ma quel posto non è come il parco giochi in Italia, non ci sono filastrocche che gli altri bambini capiscono e tutto è cosi caldo e violento e senza spazio.
Questa è la storia di Alvin Berisha
Sua madre ha conosciuto qualcuno sui social si dice che l’abbia avvicinata all’Islam nella sua parte più radicale. La donna ha incominciato a leggere il Corano in arabo, a mettere il burka e coprirsi totalmente, sia fisicamente che emotivamente, anche col marito. Finché non decide di prendere il figlio Alvin e unirsi alla causa dell’Isis partendo per Al Bab in Siria.
Questo succedeva 3 anni fa.
La sua posizione fu rivelata grazie al GPS del telefono, dal marito che chiedeva disperatamente aiuto e si facesse continue domande su dove la sua famiglia fosse sparita improvvisamente un giorno.
Ad aiutarlo sono uomini che non trovi proprio alla porta accanto. Amici in Turchia che conoscono dei servizi segreti disposti a trovare la sua famiglia in cambio di una cifra altissima, 250 mila euro.
Il papà parte in Turchia solo con speranze. Gli uomini turchi dicono di avere degli infiltrati all’interno del campo dell’Isis. L’Is infatti è solito avere delle sorte di accampamenti intorno alle loro basi militari, dei tendoni in cui trovano posto oltre agli armamenti anche schiavi di guerra, familiari dei terroristi e seguaci. Il numero dei bambini è altissimo.
Ma gli uomini si rivelano solo zingari turchi, pronti a truffarlo promettendo cose troppo semplici e fin troppo impossibili.
Tre anni dopo
La Croce Rossa Internazionale riporta una lettera di Alvin al padre, ma la Croce Rossa può solo recapitare la lettera non ha contatti diretti col campo.
Avere occhi da bambino e vedere sabbia rossa, pozzi neri di petrolio, plastica bianca come tetto e cuscini grigi e volti grigi e cicatrici e ferite sul corpo di tante persone, così pochi colori chissà com’è.
Forse Alvin si sarà ricordato i tendoni del circo o quei labirinti dove giocavano i topi bianchi che aveva visto una volta in negozio.
L’isis decideva di separare nei campi uomini e di mettere le donne coi bambini. Accoltellamenti e sparatorie sono all’ordine del giorno, anche tra donne. E molte famiglie sono ‘foreign fighters’, cioè radicalisti che vengono da Belgio, Inghilterra, Italia appunto e tutto il resto del mondo che non è il mondo arabo ma il mondo occidentale.
Tutte famiglie e persone che una volta arrivate non sono state accolte come fedeli o fan di un movimento ma come schiavi. Non possono più uscire, né decidere dei loro vestiti del loro cibo della loro stessa libertà di vita. Si definiscono “vittime di guerra“.
Ma tutti hanno seconde occasioni. E tutti possono riavere l’infanzia in qualche modo.
Ma immagina ancora quel bambino in te, scoprire di essere quel topo in gabbia, di vedere tua madre andare con un altro “papà” e avere nuovi fratelli e sorelle e poi di vedere tutti morire davanti ai tuoi occhi in un botto che è simile ai fuochi d’artificio… Ma nessuno applaude e tutti gridano.
Pochi giorni fa Alvin è tornato ufficialmente in Italia per poter ripartire da capo.
Solo dopo 5 anni. Col piede incancrenito da una ferita, orfano solo in quel campo, il padre è riuscito a raggiungerlo grazie ai giornalisti e ai servizi di molti autori e volontari. Ma riportarlo in Italia, per ricongiungere quella linea temporale che si era spezzata per un orrendo stupido sbaglio, è un sogno ora possibile.