In questo secondo inevitabile lockdown – che poi così lockdown non è – è necessario sospendere la visione di tutte le serie tv o film che Netflix o Amazon Prime possono proporre, e dedicare un’ora e quindici minuti alla visione del documentario, esperienza collettiva filtrata dalla visione registica di Gabriele Salvatores, realizzata con materiali audiovisivi girati amatorialmente – la maggior parte con il cellulare e per brevi minuti – da circa 8.000 italiani durante la pandemia della primavera scorsa.

Alcune immagini tratte dal documentario
La stessa storia di promozione, lancio, visione del film, i cui diversi pezzoni sono stati ricuciti e montati da Massimo Fiocchi e Chiara Griziotti, è saldamente legata all’evoluzione del tema che il documentario tratta.
Infatti, dopo la pubblicazione del trailer (21 ottobre 2020), il film è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma il 24 ottobre 2020, ma in assenza del suo ideatore: Salvatores era infatti positivo al Covid, asintomatico, in isolamento come da protocollo anti-Covid.
L’uscita nelle sale italiane era programmata per il 26 ottobre 2020: il giorno in cui il nuovo decreto ministeriale ha imposto la chiusura dei cinema e dei teatri. Dunque, il film è uscito in esclusiva il 10 dicembre su RaiPlay e andrà in onda in prima visione su Rai3 sabato 2 gennaio 2021.
Protagonisti del documentario: una vecchietta centenaria che si confronta con il coronavirus dopo aver affrontato due guerre mondiali; due bambini che sconfiggono il virus con spade fatte di cartoni, saltando vittoriosamente e gioiosamente sul lettone dei genitori; un biker che torna a casa con i pochi soldi guadagnati durante la giornata, sperando di non essersi preso il virus; un bambino che si affaccia dalla finestra e dice “non c’è nessuno”; una mamma che parla al figlio in grembo esortandolo a preparare l’autocertificazione per uscire.
I luoghi del documentario: le piazze delle città liberate dall’abitudinario viavai umano; le sale dei cinema e dei teatri vuoti; i balconi su cui si balla, si canta, si fa ginnastica; i tetti delle case su cui si sale per ammirare il panorama; i banchi di scuola. E poi una guardia forestale che racconta la meravigliosa e fiabesca velocità con la quale gli animali si sono riappropriati dei luoghi che noi siamo stati costretti ad abbandonare.
Corre nel documentario la vita di quei giorni con i compleanni, la Pasqua, il 25 aprile festeggiati in casa e condivisi attraverso le videochiamate.
Emerge la necessità di organizzarsi negli spazi che si hanno accanto ai propri cari: ciò porta a una convivenza famigliare spesso frutto di litigi, ma anche di momenti di condivisione.
Le difficoltà affrontate da un figlio che non può abbracciare la madre e non può asciugarsi il viso rigato di lacrime perché deve prima salire in casa per lavarsi le mani.
Le complesse e complicate situazioni coraggiosamente gestite dal personale sanitario – medici e infermieri – che hanno il compito oneroso di far telefonare ai pazienti in fin di vita le loro famiglie e poi quello di raccontare le ultime ore di vita dei pazienti ai propri cari.
Le istituzioni in ginocchio, che non sanno più “dove trovare i morti” ma neanche “dove mettere i malati”.
La difficoltà di trovare un motivo per scendere giù da letto la mattina, consapevoli che tutto quello che si vedrà del mondo sarà una finestra sul cortile.
L’impossibilità di salutare e seppellire un morto.
E poi un momento di luce che rimarrà nella storia per la sua forte valenza iconica: la preghiera di Papa Francesco in San Pietro.
4 maggio: Conte annuncia l’inizio della fase di convivenza con il virus, affermando che “dobbiamo essere consapevoli che in questa fase la curva del contagio potrà risalire”.
Il tornare a vedere la luce per poi riperderla. Vedere questo documentario significa – dolorosamente – anche questo: riconoscere la necessità di guardare in faccia la realtà traumatica che stiamo ancora vivendo.