Il 17 maggio del 2015, all’età di appena vent’anni, Marco Vannini ha perso la vita, a casa della sua fidanzata, a Ladispoli. Ad ucciderlo è stato il padre di lei, Antonio Ciontoli, sottufficiale dell’Aeronautica distaccato ai servizi segreti italiani. Da quel giorno i genitori della vittima, Marina e Valerio, hanno lottato senza tregua per i successivi cinque anni per ottenere la giustizia che il figlio merita.
Cosa era successo quella sera?
Marco era a cena a casa della fidanzata, con tutta la famiglia di lei. Era nella vasca a fare il bagno quando entra Antonio Ciotoli e gli mostra due pistole. Parte un colpo che ferisce Marco, inizialmente si pensava in un punto non vitale. L’intera famiglia Ciontoli però aspetta venti minuti prima di chiamare i soccorsi e le telefonate al 118 rivelano l’indole bugiarda dell’uomo e di tutta la famiglia. All’operatore della Croce Rossa raccontano che Marco è scivolato nella vasca e si è bucato un pochino con un pettine; in realtà il proiettile gli ha perforato un polmone ed è arrivato fino al cuore. Marco sarebbe morto, in ospedale, 110 minuti dopo lo sparo.
Il processo
Lo scorso 7 febbraio, la Cassazione, nello stabilire l’appello bis appena iniziato, ha sentenziato che: “la morte di Marco Vannini sopraggiunse dopo il colpo di pistola ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli” e che questi “rimase inerte ostacolando i soccorsi”.
È stato fin da subito chiaro che se Marco fosse stato tempestivamente soccorso oggi sarebbe ancora vivo. Da quello sparo ad oggi ci sono state indagini lacunose, intercettazioni clamorose, raffiche di menzogne, dichiarazioni fuorvianti e corrette fino all’inverosimile da parte dei familiari, tre processi e altrettante condanne. In primo grado furono condannati, per concorso colposo in omicidio, a tre anni di carcere Federico e Martina, figli di Ciontoli, e sua moglie Maria Pezzillo, per non aver chiamato i soccorsi dopo lo sparo e per essere stati perfettamente consapevoli di ciò che sarebbe successo a Marco. Secondo la cassazione tutta la famiglia Ciontoli prese parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico dei soccorsi. Martina, la fidanzata di Marco che era oltretutto infermiera, disse al collega del 118 di non sapere cosa fosse successo perché non presente, ma un’intercettazione ambientale la riprese mentre mimava al fratello la scena dello sparo affermando espressamente di avervi assistito. Presente o meno al momento dello sparo è certo che Martina accorse subito sul luogo e ebbe le stesse informazioni dei suoi familiari.
Le sentenze
Antonio Ciontoli, nel primo processo di appello, era stato condannato a cinque anni per omicidio colposo. La sentenza è stata ribaltata dalla Corte di Cassazione che lo ha infine condannato a 14 anni di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale.
Questa sentenza ha portato ad altre novità: sono stati condannati a 9 anni e quattro mesi la moglie di Antonio Ciontoli, Maria, e i due figli, Federico e Martina. La condotta della famiglia Ciontoli, dunque, configura un omicidio in concorso perché, nonostante tutti i presenti fossero a conoscenza di quanto accaduto, ritardarono e ostacolarono i soccorsi, provocando così la morte del giovane Marco. Dopo la lettura della sentenza, la madre di Marco, Marina, ha detto: “La giustizia esiste, ma bisogna combattere per ottenerla”.