Gli universitari, in questi mesi di coronavirus, sono stati completamente dimenticati. L’accusa, stavolta, non è rivolta al governo, ma alle università. Biblioteche chiuse, esami solo a distanza, lezioni scadenti, deliri nel pagamento delle tasse. Tanti indizi di come le università non siano state in grado – salvo alcune eccezioni – di affrontare la crisi dovuta al coronavirus, un po’ per mancanza di risorse, un po’ per mancanza di volontà. A farne le spese, come sempre, sono gli studenti, soprattutto quelli appartenenti alle fasce di reddito più basse.
A ciò va aggiunta anche la questione affitti: giusto chiedere agli studenti fuorisede che vivono al nord di non tornare, per non portare il virus. Al tempo stesso, però, sarebbe stato necessario provvedere con aiuti finanziari, che consentissero loro di pagare l’affitto.
Biblioteche chiuse: dove si può studiare?
Chi scrive è abbastanza fortunato da poter studiare in casa senza grossi problemi. Pur essendo in cinque in famiglie, ci sono stanze e tavoli per tutti. Oltre a una connessione internet funzionante. Tuttavia non tutti hanno queste possibilità. Ci sono studentesse e studenti che vivono in case di dimensioni ridotte, senza una stanza silenziosa dove potersi concentrare. Oppure chi vive con dei coinquilini, magari privo di un tavolo in stanza e con una connessione scadente.
A Torino le biblioteche hanno iniziato a riaprire dal 15 giugno, ma sono pochissime le sedi aperte. Oltretutto, com’è giusto che sia, con gli accessi contingentati. Insomma, se già trovare posto in biblioteca, durante la sessione, risulta difficile, in questo momento è impossibile. Fortunatamente vi sono alcune realtà private che si sono attivate, offrendo posti dove studiare. Il loro sforzo, però, non può soddisfare tutta la domanda presente.
Esami online: problemi e mancanza di volontà
Gli esami orali non hanno risentito particolarmente delle modalità online. Al netto di alcuni professori iper sospettosi, poter fare l’esame dalla propria camera, in camicia e pantaloncini da basket, non è una brutta prospettiva. Per chi ha una connessione valida e un pc a disposizione, ovviamente. Per gli altri, rimangono i problemi che abbiamo accennato poco sopra.
Ma se per gli orali si può capire le paure, dati il continuo via vai di persone, scambio di posti e le conversazioni ravvicinate, per gli scritti sono completamente prive di senso. Non si capisce infatti perché non si possano fare in presenza degli esami che da sempre si svolgono sedendosi distanziati. Certo, questo comporterebbe un’attivazione da parte delle università: la volontà sembra mancare.
Le tasse universitarie con il coronavirus
Ogni università gestisce le proprie tasse, sia come somme sia come tempistiche. L’università di Torino ha prorogato il pagamento, suddividendo la canonica tassa di marzo in due parti, una da pagare a metà giugno e una a settembre. Apprezzabile e meglio di niente. Ma data la qualità dell’insegnamento – decisamente scadente, con professori dispersi o che si limitavano a caricare slide – e le spese per le strutture che l’università ha smesso di sostenere, non si poteva pensare a una riduzione delle tasse, perlomeno per le fasce più basse?
Il rischio di abbandono
Le conseguenze di questa totale indifferenza delle università e della mancanza di contributi finanziari da parte delle istituzioni può portare a un abbandono delle università. Questo è il dato evidenziato da un rapporto di Svimez, che prevede una diminuzione delle matricole del prossimo anno di circa 10mila unità. Quasi due terzi sono studenti del sud Italia, territorio che ha subito duramente la crisi.
A pagare l’abbandono saranno le università, che vedranno entrate ridotte, le zone attorno, ricche di attività dedicate agli studenti stessi, oltre agli affittuari – ma su quest’ultimo punto viene difficile dispiacersi, dati i frequenti abusi e speculazioni. E poi la pagherà tutto il Paese, che perderà cultura e istruzione. Anche se questa, purtroppo, non è una novità.