Mattarella, presidente della Repubblica, ha concesso la grazia a Umberto Bossi. Il reato per cui era stato condannato a un anno e quindici giorni di carcere è il vilipendio verso la massima carica dello Stato, commesso in un comizio nel 2011. Aveva definito Napolitano, all’epoca presidente, un “terùn“, con tanto di – immancabile – gesto delle corna.
Prima cosa da dire: giusto così. Pur non avendo mai approvato una frase uscita dalla bocca del senatùr, né un concetto partorito dalla sua mente, trovo corretto che non ci si accanisca su un uomo molto anziano. Per quanto, giusto ribadirlo, non avrebbe comunque fatto un solo giorno di carcere.
L’occasione potrebbe essere buona per discutere della bontà della grazia, potere arbitrario volto a risolvere i problemi del codice penale. Ma non voglio trattare di questo.
E non voglio neanche parlare di chi sta idolatrando il presidente, per il suo incommensurabile stile, comparato a quello di Bossi. Bossi ha costruito la sua carriera politica sull’essere quel personaggio? Cosa si può pretendere? Certo non stima, ma paragonare le due figure è tempo sprecato.
Vorrei parlare invece del reato di vilipendio. Reato anacronistico, derivato da una sacralità verso lo Stato che sinceramente trovo ridicola al giorno d’oggi. Ne riconosco l’utilità, sia chiaro. Le mancanze di rispetto verso le istituzioni e i ruoli importanti sono agghiaccianti, e intollerabili. Anche, e soprattutto, se provengono da chi quelle istituzioni le occupa. Tuttavia il reato di vilipendio resta una toppa, che non risolve nulla. Minaccia chi manca di rispetto, ma non insegna a rispettare. E quindi non raggiunge il suo obiettivo.
Come risolvere la mancanza di rispetto verso le istituzioni? Beh, insegnandone il valore. Dove? Dove si insegna: le scuole.