È noto a tutti che l’autobomba di via D’Amelio fu una Fiat 126. Tuttavia non fu chiaro fin da subito, date le ovvie condizioni di un’automobile che aveva contenuto circa 90 chilogrammi di esplosivo. Il blocco motore dell’auto venne ritrovato solo alle 13 del giorno successivo alla strage. Quasi 24 ore dopo. Per poterlo associare a un modello Fiat si dovette chiamare un tecnico specializzato dell’azienda produttrice arrivato dallo stabilimento di Termini Imerese. Ma allora come fu possibile che La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo, sapesse fin da subito che l’autobomba era una Fiat di piccole dimensioni? Solo poche ore dopo la strage, “fonti della polizia di Stato” dichiaravano all’Ansa che gli assassini avevano usato “una 600, una Panda o una 126”.
Arnaldo La Barbera
La Barbera è una figura estremamente controversa, al libro paga sia della polizia sia dei servizi segreti. Non si è mai saputo, né probabilmente si saprà mai, per quale missione. Fu La Barbera a individuare e arrestare Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino, che si autoaccusarono di aver rubato la 126 e di averla portata nell’officina di Giuseppe Orofino. Qui venne si allestì l’autobomba. Dopo ben tre processi, in occasione del Borsellino quater, Gaspare Spatuzza dichiarò di esser stato lui a rubare l’autovettura. Candura e Scarantino, rivelatisi falsi testimoni, ritratteranno dicendo di essere stati forzati a quelle dichiarazioni dal questore La Barbera e dal suo gruppo investigativo.
Fiammetta Borsellino, nel numero 3/2019 di MicroMega, ricorda “la mancata verbalizzazione di sopralluogo con Scarantino al garage di Orofino, vale a dire il luogo dove – secondo quanto da lui dichiarato – aveva rubato la macchina che sarebbe servita per provocare l’esplosione in via D’Amelio. […] E ciò nonostante Scarantino non riconoscesse neppure l’apertura della saracinesca del garage”. Quantomeno anomalo, considerando che era stato l’autore del furto.
I servizi segreti
Quale fu il ruolo del SISDE, il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza DEmocratica? Si tratta della branca militare dei servizi segreti, operativa fino al 2007, che fu ampiamente coinvolta nelle indagini per la strage di via D’Amelio, nonostante per legge i servizi segreti non possano collaborare direttamente con la magistratura. Il procuratore capo di Caltanissetta, il giorno dopo la strage, convocò Bruno Contrada, numero tre del SISDE, ad aiutare le indagini. Contrada qualche mese dopo verrà arrestato dalla procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Sarà condannato definitivamente a 10 anni di carcere nel 2007.
Il capo pattuglia della prima volante giunta sul luogo della strage, Giuseppe Garofalo, dichiarò: “Quel pomeriggio notai una persona, in abiti civili, alla quale chiesi spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell’auto. Gli chiesi chi fosse per essere interessato alla borsa del giudice, mi rispose di appartenere ai servizi segreti. Posso dire che era vestito in maniera elegante, con la giacca, di cui non ricordo i colori”. Lo stesso Totò Riina, intercettato dalla Direzione Investigativa Antimafia, disse a un compagno in carcere che i servizi segreti avevano preso l’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Qual è la verità? Chi ha ucciso Borsellino? Non si saprà mai, probabilmente. Ciò che rimane sono ventisette anni di bugie, silenzi, omertà e depistaggi. Un’altra pagina buia della storia della nostra Repubblica, caratterizzata da preoccupanti intrecci fra criminalità e potere, in violazione di qualsiasi principio di legalità e soprattutto di etica.