Il cristianesimo con tutte le sue varianti è la religione che conta più seguaci al mondo, circa 2,3 miliardi di persone. Quando parliamo di cristianesimo non dobbiamo pensare però solo ai cristiani cattolici, ortodossi e protestanti, ma anche a tutte le ulteriori suddivisioni. Esempi sono la chiesa copta, quella orientale, il restaurazionismo e l’avventismo.
Secondo lo studio di un importante istituto statistico statunitense, il Pew Research Center, in Europa la percentuale delle persone che considera Dio importante nella loro vita è calata in modo abbastanza significativo. In Italia ad esempio questa percentuale era dell’81% nel 1991, mentre nel 2019 era scesa al 60%. In Europa il cristianesimo rimane la religione di maggioranza, ma, mentre la media dei battezzati è del 91%, solo il 22% conduce una vita da fedele attiva, partecipando ai riti.
Possiamo dire quindi che il cristianesimo, dal 900 a oggi, stia vivendo un progressivo indebolimento a causa di nuove dinamiche sociali e culturali diventate dominanti? Sì, ma solo in parte. In realtà dal 1910 al 2010, anche grazie all’aumento demografico, il numero dei cristiani è salito da 612 milioni a quasi 2,3 miliardi. Questi aumenti vanno a favore non tanto delle chiese cosiddette storiche (cattolica, ortodossa e protestante), ma a quelle indipendenti, che comprendono pentecostali, carismatici ed altri gruppi, che sono passate dal 2% al 16%.
I nuovi luoghi del Cristianesimo
In questi 100 anni è avvenuto anche un cambiamento dal punto di vista geografico: se nel 1910 il 66% dei cristiani era in Europa, nel 2010 ne viveva meno del 26% e questo trend sta continuando. La maggioranza dei cristiani si trova ora distribuita tra Americhe, Africa subsahariana e Asia che sono diventate le nuove coordinate del cristianesimo. Possiamo quindi dedurre che il cristianesimo non sta affrontando una crisi irreversibile che lo porterà all’estinzione, ma un profondo cambiamento geografico, ma non solo, anche dottrinale e strutturale.
Simili ricerche sono estremamente utili per comprendere i mutamenti che le religioni affrontano nel lungo periodo; tuttavia studi statistici di questo genere si trovano davanti al problema di definire chi sia un fedele o in questo caso un cristiano. È un cristiano chi partecipa ai riti? O chi crede ma non partecipa alla vita comunitaria? O ancora chi riconosce il cristianesimo come un tratto fondamentale della propria cultura, ma non vi prende parte attivamente?
Queste problematiche possono essere viste come un ostacolo ad una ricerca efficace, ma se gli studi adottano una metodologia seria e dichiarata posso essere comunque estremamente utili.