Il Mostro di Firenze: questo è il nome utilizzato dai media italiani per riferirsi all’autore o agli autori dei delitti commessi nella provincia di Firenze tra il ’68 e l’85. I reati sono stati commessi nell’arco di 17 anni e hanno avuto come vittime 8 giovani coppie che cercavano momenti di intimità, in macchina, tra le colline fiorentine.
Gli omicidi
Il modus operandi, con alcune eccezioni, è stato sempre il medesimo: gli omicidi sono stati commessi in notti di novilunio, quando la Luna risulta completamente oscurata, o comunque notti estive molto buie nel fine settimana o in giorni prefestivi. Venne sempre usata la stessa arma del delitto: una pistola Beretta serie 70 calibro 22 Long Rifle (a canna lunga), usata per il tiro a segno, caricata con munizioni Winchester marcate con la lettera H sul fondello del bossolo.
Nella metà dei duplici omicidi, l’assassino ha asportato il pube servendosi di un’arma bianca; negli ultimi due casi venne asportata anche la mammella sinistra. Le prime due vittime furono Antonio Lo Bianchi e Barbara Locci. I due erano amanti e la notte del 21 agosto 1968, dopo essersi recati al cinema, posteggiarono la macchina presso una strada sterrata vicino al cimitero di Signa, dove vengono uccisi da quattro colpi di pistola ciascuno.
Quella notte sul sedile posteriore dormiva Natalino Mele, di 6 anni, figlio di Barbara Locci e Stefano Mele, marito della vittima. Il bambino, intorno alle due del mattino, bussò alla porta di un casolare a due chilometri dalla macchina; lì venne soccorso dal proprietario che poco dopo chiamò le autorità.
Le indagini condussero al marito della donna, Stefano Mele, sospettato di aver commesso il delitto per gelosia. Tuttavia era risultato che l’uomo fosse del tutto incapace di maneggiare un’arma e avrebbe più volte esternato un temperamento decisamente succube nei confronti della moglie che era soprannominata in paese “Ape regina” a causa dei suoi molteplici amanti.
I magistrati, andando avanti con le indagini, sentirono più volte la versione dei fatti di Natalino, che poi confessò di aver visto, al suo risveglio nella macchina, il padre Stefano Mele, il quale lo avrebbe poi portato al casolare vicino dopo essersi fatto promettere di non dire nulla.
L’uomo, che nel frattempo aveva puntato il dito contro alcuni degli amanti della mogli, messo alle strette dagli inquirenti cedette e confessò tutto. Nonostante le molte incongruenze e l’assenza dell’arma, nel marzo del 1970 Mele venne condannato dal tribunale di Perugia in via definitiva alla pena di 14 anni di reclusione; la sentenza fu piuttosto mite perché l’uomo venne riconosciuto parzialmente incapace di intendere e di volere.
Il Mostro di Firenze: la pista
Fino al 1982 non si riteneva che di questo delitto fosse responsabile il mostro di Firenze; a seguito però del ritrovamento casuale in archivio di alcuni bossoli che, dopo le analisi, risultarono identici a quelli trovati sulle altre scene dei crimini, si dedusse che la pistola usata dal mostro era la stessa usata dall’assassino che aveva ucciso Antonio Lo Bianco e Barbara Locci nell’estate del 1968.
Sei anni dopo, il 14 settembre 1974, Pasquale Gentilcore, 19 anni, e Stefania Pettini,18 anni, vengono uccisi in una strada sterrata nella frazione di Rabatta, vicino a Borgo San Lorenzo. I due giovani fidanzati stavano raggiungendo degli amici in un locale a San Lorenzo, ma si fermarono lungo una stradina sulle sponde del fiume Sieve.
L’uomo venne raggiunto da cinque colpi di pistola che gli furono fatali; la ragazza, colpita da tre pallottole, ancora viva fu accoltellata tre volte. Venne poi trascinata fuori dalla macchina e accoltellata ancora 96 volte. Prima di lasciare il luogo, l’omicida colpì con il coltello anche il corpo esanime di Pasquale con cinque fendenti all’altezza del fegato.
Il mattino dopo, a seguito dell’allarme dato dai genitori della coppia, i carabinieri trovarono la macchina e i cadaveri dei due giovani. In questo caso, così come nei delitti successivi, vennero ritrovati, sparsi sul terreno, alcuni oggetti contenuti nella borsetta della ragazza.
Tutti gli omicidi
Dopo altri sette anni, nello stesso anno vennero commessi due duplici omicidi. Il primo nella notte tra il 6 e il 7 giugno 1981 nei pressi di Mosciano di Scandicci. Le vittime furono Giovanni Foggi, 30 anni, e la sua ragazza, Carmela De Nuccio, di 21 anni. L’uomo venne raggiunto da tre colpi di pistola, mentre altri cinque raggiunsero la donna.
Quest’ultima venne tirata fuori dalla macchina e trascinata in fondo al terrapieno rialzato su cui corre la stradina, dove le furono recisi i jeans e, per mezzo di tre precisi fendenti, le fu asportato interamente il pube. In seguito alle indagini alcune persone affermarono di aver visto la macchina di Vincenzo Spalletti, trentenne, sposato e padre di tre figli, conosciuto nella zona per essere un guardone, che venne sospettato e incarcerato per l’omicidio della coppia.
Durante la sua permanenza in carcere, la moglie ricevette diverse telefonate anonime che le assicuravano che suo marito sarebbe stato presto scagionato, cosa che in effetti accadrà nell’ottobre dello stesso anno a seguito di un nuovo duplice delitto. Il 21 ottobre del 1981, infatti, a Travalle di Calenzano vicino a Prato, in località Le Bartoline, lungo una strada sterrata che attraversa un campo, a poca distanza da un casolare abbandonato, vennero uccisi Stefano Baldi, di 26 anni e Susanna Cambi di 24 anni.
L’uomo venne colpito quattro volte e la ragazza cinque. Anche in questo caso alla donna fu asportato il pube, in maniera meno precisa rispetto all’omicidio precedente, e fu sfregiato il seno sinistro con un coltello. Anche in questo caso furono ritrovati gli oggetti contenuti nella borsetta della ragazza sparsi nelle zone circostanti il luogo del delitto.
La notte del 19 giugno 1982, a Baccaiano di Montespertoli vennero uccisi Paolo Mainardi, 22 anni, e Antonella Migliorini, di 19. I due giovani, fidanzati da molti anni e soprannominati dagli amici Vinavil perché inseparabili, erano appartati a bordo della loro macchina in uno slargo presente sulla Strada Provinciale Virginio Nuova dopo aver trascorso la serata a cena con dei parenti.
Dopo gli spari Paolo risultò solo ferito e sembra che mise in moto la macchina nel tentativo di scappare, ma perse il controllo e andò ad impantanarsi. A quel punto il killer sopraggiunse e lo colpì a morte.
Il 9 settembre 1983, a Giogoli, furono assassinati due ragazzi tedeschi, Jens-Uwe Rüsch e Horst Wilhelm Meyer, entrambi di 24 anni, studenti presso l’Università di Münster che al momento dell’aggressione si trovavano a bordo del loro furgone Volkswagen T1. I ragazzi vennero raggiunti e uccisi da sette proiettili. Una volta uccisi i due giovani, l’assassino salì sul retro del furgone ma, accortosi che le vittime arano entrambe di sesso maschile, si dileguò senza utilizzare armi bianche ed effettuare alcuna escissione sui corpi.
In questo caso, l’assassino fu forse tratto in errore dai capelli lunghi e dalla corporatura esile di Rüsch, probabilmente scambiato per una donna. Le vittime del penultimo delitto del Mostro di Firenze sono Claudio Stefanacci, di 21 anni, e Pia Gilda Rontini, di 18. L’auto dei giovani era parcheggiata in fondo a una strada sterrata che si diparte dalla strada provinciale Sagginalese, contro il terrapieno di una collina. Il ragazzo fu colpito quattro volte, mentre la donna due.
In seguito, l’assassino infierì con diverse coltellate sui corpi dei due ragazzi, colpendo due volte alla gola Pia e una decina di volte Claudio. Alla ragazza vennero inoltre asportati il pube e la mammella sinistra. L’ultimo duplice delitto avvenne nella notte tra il 7 e l’8 settembre 1985 nella campagna di San Casciano in Val di Pesa, in frazione Scopeti, all’interno di una piazzola attigua a un cimitero e attorniata da cipressi, in cui erano solite appartarsi le coppie.
Le vittime sono due giovani francesi, Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot che si erano accampati con una tenda a poca distanza dalla strada. L’assassino, dopo aver reciso con un coltello il telo esterno della tenda sulla parte posteriore, si sposta verso l’ingresso della tenda e spara. Nadine muore subito; Jean-Michel, ferito non mortalmente, riesce a uscire dalla tenda e a fuggire verso il bosco, ma viene raggiunto dall’omicida che lo finisce a coltellate e poi ne occulta il corpo.
Il Mostro di Firenze: come si è risolto il mistero?
Poche settimane dopo, il 2 ottobre, giunsero in Procura tre buste anonime indirizzate ai tre sostituti procuratori Pier Luigi Vigna, Paolo Canessa e Francesco Fleury, contenenti la fotocopia di un articolo de La Nazione, una cartuccia marca Winchester calibro 22 serie “H” e un foglietto di carta bianco piegato in due con scritto «Uno a testa vi basta».
Gli esami biologici evidenziarono che sui lembi delle tre buste c’erano tracce di saliva che diedero esito positivo di appartenenza a soggetto con gruppo sanguigno A. Non esiste però alcuna certezza che questo messaggio sia stato inviato dall’assassino, poiché esso non conteneva alcuna prova inequivocabile della provenienza da parte del responsabile e non di un mitomane.
Nel 1993 venne arrestato Pietro Pacciani con l’accusa di essere l’omicida delle otto coppie. Nato nel 1925 era soprannominato il Vampa per via del suo carattere irascibile e per i suoi trascorsi giovanili come mangiafuoco per le fiere paesane. Nel 1951, a 26 anni, Pacciani sorprese l’allora fidanzata, Miranda Bugli (appena quindicenne), in atteggiamenti intimi con un altro uomo, tale Severino Bonini di 41 anni; preso dalla gelosia, uccise a coltellate il rivale costringendo poi la ragazza ad avere un rapporto sessuale accanto al cadavere.
Arrestato e processato, dichiarerà d’essere stato accecato dal furore avendo visto la fidanzata denudarsi il seno sinistro (lo stesso che negli ultimi due delitti venne asportato alle vittime femminili del pluriomicida). Per questo omicidio, Pacciani viene condannato a 13 anni di carcere che sconta interamente. L’analogia di questo delitto con quelli del “mostro” sarà l’intuizione e l’indizio principe che porterà gli inquirenti a indagare seriamente su Pacciani.
Vennero trovati molti indizi che lo incastravano, ma, prima della condanna finale, il 22 febbraio 1998 fu trovato misteriosamente morto nella sua abitazione. Secondo un esame tossicologico nel suo sangue vi erano tracce di un farmaco antiasmatico fortemente controindicato per lui che non soffriva di asma ed era invece affetto da una malattia cardiaca.
Oltre a Pacciani vennero condannati altri due uomini, i cosiddetti “compagni di merende”: Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Vanni venne condannato al carcere a vita per quattro degli otto duplici omicidi; nel 2004 fu sospesa per motivi di salute e passò i suoi ultimi anni in una casa di riposo per anziani non autosufficienti. Lotti fu condannato a trent’anni, ma ne scontò 26. Venne infatti scarcerato nel 2002 per gravi motivi di salute e poco dopo morì per via di un tumore al fegato, da cui era afflitto da molto tempo, a causa del suo alcolismo decennale.
Le teorie più recenti
Le teorie sui mandanti sono moltissime. Una sostiene che dietro agli omicidi ci sia una setta esoterica: c’erano state alcune testimonianze che andavano in questo senso e c’erano le grosse somme di denaro, non giustificabili, a disposizione di Pacciani dopo i delitti. L’ipotesi era che del gruppo dei mandanti facesse parte anche un famoso gastroenterologo, Francesco Narducci, trovato morto in barca poco dopo l’ultimo dei duplici omicidi del “mostro di Firenze”.
Con lui si ipotizzò che c’entrassero anche molte altre persone, i familiari di Narducci e pure un giornalista che finì in carcere per quasi un mese. Questo filone delle indagini, alla fine, non portò a nulla. Da circa un anno c’è però un nuovo filone di indagine che coinvolge Giampiero Vigilanti, un uomo di 87 anni, e il suo medico.
Vigilanti, ex legionario, è residente a Prato ed è nato a Vicchio, il paese in cui era cresciuto Pietro Pacciani. Conosceva Pacciani, conosceva i “compagni di merende”, era già stato coinvolto nelle indagini a metà degli Ottanta, possedeva molte pistole, compreso il modello usato per i duplici omicidi o uno simile.
A casa sua sono stati trovati diversi articoli di giornale sui delitti dal 1968 in poi, dei proiettili dello stesso lotto usato dal mostro e si sa che possedeva una pistola che avrebbe potuto essere compatibile con quella usata per gli omicidi. Attualmente si è in attesa dei risultati di una perizia su molti reperti accumulati fino ad ora nell’inchiesta. A oggi ufficialmente, se non ci saranno nuovi sviluppi, la vicenda del “mostro di Firenze” è finita con la condanna ai “compagni di merende”.