Di Maio avverte: “La fiducia si guadagna, e il banco di prova per il PD sarà il taglio dei parlamentari”. Misura, questa, da sempre punto centrale nella propaganda politica del Movimento 5 Stelle. Forse una delle più efficaci dal punto di vista del consenso, tanto che anche Matteo Salvini aveva provato ad appropriarsene negli ultimi giorni della sua esperienza da ministro.
Il numero dei parlamentari è da sempre discusso. Il dibattito è fra i costi – peraltro irrisori – e la rappresentatività. Pare evidente come un maggior numero di parlamentari porti a una maggiore varietà di idee e opinioni, e quindi anche a una maggiore garanzia degli interessi dei cittadini. Un numero minore aiuta invece per la governabilità di uno Stato, poiché è più facile controllare le maggioranze.
Il punto cruciale di questo discorso è il seguente: Di Maio, e in generale il Movimento 5 Stelle, continuano a considerare la politica come una passione. La loro idea è che non bisogna far politica per interessi personali ma solo per la voglia di cambiare il Paese. Si deve combattere la casta e tutti i privilegi che provengono da un posto in Senato o alla Camera.
Bello, per carità. Però, se si cercasse di andare leggermente oltre la ricerca del consenso, ci si accorgerebbe che considerare la politica una passione e non un lavoro è quanto di più classista possa esistere. Si riduce la politica a una cosa per ricchi, togliendola dalla disponibilità di chi ha bisogno di lavorare. Chi non ha grandi risorse economiche per entrare in Parlamento ha bisogno di essere sicuro di vivere lavorando come politico e di poter vivere con quegli stipendi anche quando dovrà tornare a cercarsi un lavoro una volta finita la legislatura.
Infine, la parte migliore. Abbiamo avuto un caso esemplare di politica per passione, durato vent’anni: Silvio Berlusconi.