Quando nel 2016 il lavoro congiunto delle diplomazie vaticane, cubane, americane e colombiane portò alla sigla di un trattato di pace tra il Governo di Bogotà e le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), il mondo intero ritenne di poter finalmente considerare la Colombia un Paese sicuro, non più preda di sanguinose guerre intestine e frange guerrigliere.
La morte sospetta, avvenuta nel Paese lo scorso 16 luglio, di Mario Paciolla, volontario ONU e ricercatore dell’Università di Napoli sembra però gettare ombra sul processo di pacificazione nel paese sudamericano. Paciolla si trovava in Colombia per verificare l’attuazione degli accordi del 2016. Nonostante la versione ufficiale delle autorità colombiane parli di suicidio, sono in pochi tra i parenti di Mario a credervi. Anche perché, in alcune chiamate precedenti la morte, lo stesso aveva dichiarato di sentirsi “sporco” in quell’ambiente. Il sospetto dunque è che la sua morte sia la diretta conseguenza del suo coinvolgimento in non si sa quale mortifera trama.
La morte di uno straniero, tale era Paciolla in Colombia, perlopiù occidentale e volontario ONU, ricorda il caso Regeni. Pone inoltre un forte interrogativo sull’affidabilità di un Paese come la Colombia. Questa infatti pare non in grado di provvedere alla sicurezza di un operatore internazionale sul suo territorio. Tale nazione è la medesima grande alleata dell’UE e degli USA nella guerra non dichiarata al Venezuela e sembra voler essere il nuovo stabilizzatore della regione sudamericana, dopo la presunta pacificazione con le milizie rivoluzionarie.
Gli accordi del 2016
Urge pertanto capire, alla luce dei recenti sviluppi, quali siano state le vere conseguenze degli accordi del 2016. Questi prevedevano l’abbandono della lotta armata per le Farc, l’amnistia per i guerriglieri e il loro ricollocamento in una vita più dignitosa, lontano dalle armi. Già numerosi osservatori internazionali avevano osservato negli ultimi anni come quest’ultimo punto stesse riscontrando gravi ritardi nella sua attuazione.
Da ciò ne derivava un serio pericolo per l’eventuale formazione di nuove bande armate. Non mosse più da moventi ideologici, il problema è diventato la sopravvivenza dei guerriglieri non reintegrati nella società civile.
Una altra incognita emersa era il vuoto che le Farc avrebbero lasciato nel traffico della droga. Il traffico di stupefacenti infatti era in precedenza parzialmente controllato proprio dalle milizie oggi dismesse. Chi oggi abbia occupato il loro posto non è dato saperlo.
Dati tutti questi interrogativi che circondano il processo di pacificazione colombiano, pare singolare la morte di un volontario ONU ivi impegnato, che per il suo lavoro aveva manifestato una certa inquietudine, espressa anche ai propri parenti.
Quali saranno le reazioni dell’Italia alla morte di Paciolla?
Vi è da dire che la diplomazia italiana possiede in Sudamerica, al contrario che nell’Egitto di Regeni, una forte influenza. Questa è dovuta a ragioni storiche e culturali. Un esempio ne è la forte emigrazione italiana del secolo scorso, che ha fornito alla Colombia, come ai paesi limitrofi, una dinamica e attiva classe imprenditoriale.
Alla luce di ciò l’Italia ha tutte le carte in regola per evitare che nuovamente a fare le spese dell’instabilità di un paese estero sia il desiderio di verità dei familiari di un nostro concittadino morto, sul quale certo non si può operare sin da ora una miticizzazione, ma che perlomeno merita che il mondo sappia il motivo della sua scomparsa.
Se così non sarà, avverrà l’ennesimo smacco non solo ai diritti umani nel mondo, ma anche alla politica estera italiana. Giacché, come ha sottolineato il primo cittadino partenopeo De Magistris, in chiamata col Ministro degli Esteri Luigi Di Maio:
«non possiamo accettare una verità di comodo, una verità che si vuole costruire frettolosamente»