La prima regola per un leader di un partito sconfitto alle elezioni è non ammettere la debacle. Si può ottenere la metà dei voti sperati, non superare la soglia di sbarramento, non ottenere neanche un eletto, perdere roccaforti storiche, e via dicendo, ma è molto raro vedere un segretario che confessi di aver perso. Al massimo, se il risultato è clamoroso, si avrà un “dobbiamo fare l’analisi della sconfitta”. Ma è poco frequente.
Così ieri sera, nonostante una tornata elettorale da cui nessun partito nazionale può uscire soddisfatto, tutti si dichiaravano vincitori.
Nel dettaglio: il PD è felice di aver tenuto Toscana, Puglia e Campania e di essere il primo partito nazionale, oltre all’aver vinto il referendum. Poco importa che abbiano perso le Marche e che ora quindici regioni su venti siano in mano alla destra. Poco importa che il referendum non sia mai stata una vera battaglia del partito di Zingaretti, al punto che la base ha votato in gran parte no.
La Lega è felice di aver ottenuto Valle d’Aosta, Veneto, Marche e Liguria. Fa lo stesso che nelle Marche abbia in realtà vinto la Meloni, in Veneto Zaia e in Liguria Toti. Fa lo stesso che la Lega abbiamo subito una pesante battuta d’arresto dopo l’agosto del Papeete.
Renzi si dice soddisfatto. Di cosa, non si sa. Perché in Puglia Scalfarotto ha ottenuto l’1,6%, in Veneto Sbrollini lo 0,6%. Persino in Toscana, dove ha vinto Giani, candidato renziano, Italia Viva ha ottenuto il 4,5%.
Il MoVimento 5 Stelle ammette l’insuccesso, ma sottolinea subito la vittoria al referendum, storico cavallo di battaglia. A rovinare la festa arriva però la condanna a sei mesi di reclusione di Chiara Appendino, sindaco di Torino, per falso ideologico in merito al bilancio del 2016.
Un peccato che la condanna arrivi ora, a rovinare un simile momento di gioia collettiva.