Libertà di stampa e Costituzione: esistono limiti?
Qualche giorno fa, il 3 maggio, si è festeggiata la giornata mondiale della libertà di stampa. Essa è una delle libertà fondamentali riconosciute e tutelate dalle Carte e statuti di numerosi paesi del mondo e in Italia dalla Costituzione all’articolo 21 insieme a quella di espressione. Essa prevede che tutti abbiano il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Prosegue stabilendo che la stampa non può essere soggetta a censure o autorizzazioni ed elenca una serie di specifiche per quei casi che pur esercitando la libertà di stampa vanno a ledere altri diritti fondamentali. Nella legge, un po’ come nella vita, è sempre una questione di bilanciare gli interessi. Che cosa è più importante? Fin dove permettere qualcosa non distrugge altro?
La libertà di stampa nella maggior parte degli stati democratici a livello globale sembra ormai essere una questione superata e archiviata. Una libertà onnipresente e piuttosto inflazionata. I social e il digitale in generale hanno ampliato il senso di libertà percepito, generando comportamenti anche negativi in questo senso. Un giornalista o una qualsiasi persona si sente più facilmente libera di esprimere il proprio pensiero e le proprie idee, personaggio pubblico o meno che sia. Ma questa apparente libertà, spesso nella stessa apparenza trova il suo limite.
Misurare il grado di libertà
L’organizzazione dei reporter senza frontiere redige ogni anno un rapporto sul tasso di libertà di stampa presente in vari paesi. L’indice intende riflettere il grado di libertà che i giornalisti, le nuove organizzazioni e i netizen hanno nei rispettivi paesi, e gli sforzi compiuti dalle autorità per rispettare tale libertà. Sottolineando che tale indice non misura né la qualità del giornalismo né la violazione dei diritti umani in generale.
Il grado di libertà di stampa in 180 paesi è determinato, in parte, da un questionario prodotto dall’organizzazione che pone domande riguardanti il pluralismo, l’indipendenza dei media, l’ambiente e l’Autocensura, la struttura legislativa, la trasparenza e le infrastrutture. Incluse le sanzioni per i reati di stampa, l’esistenza di un monopolio di stato per alcuni tipi di media e come essi sono regolamentati. Nel questionario, sono incluse anche violazioni del libero flusso di informazioni su Internet, le violenze contro giornalisti, netizen e assistenti dei mezzi di comunicazione. Inclusi gli abusi attribuibili allo stato, a milizie armate, a organizzazioni clandestine.
La situazione dell’Italia
L’Italia quest’anno è al 41 posto, addirittura sotto il Burkina Faso e la Repubblica Ceca. Ma rispetto al 46esimo del 2018 e il 43 esimo dell’anno scorso non è così male. In un’intervista del 2012, in occasione di una manifestazione per la libertà di stampa in Italia, Antonio Tabucchi citava il fatto che l’allora capo del governo, Berlusconi, fosse allo stesso tempo imprenditore di numerose reti televisive, quotidiani e case editrici. Avendo così un largo potere di controllo sull’informazione. Il Consiglio d’Europa lo permetteva, mentre imponeva ad altri paesi come requisito per l’ingresso, di abbandonare tutta una serie di leggi autoritarie. Oggi la libertà è maggiore o almeno lo è quella percepita. Sebbene le voci indipendenti siano in crescita, le grandi testate rimangono strettamente legate ai giochi di potere e siamo ancora lontani da un giornalismo che metta a nudo alcune questioni.
La diffusione del fenomeno delle fake news è uno dei maggiori effetti collaterali. A livello teorico tutto torna, nel concetto stesso di libertà rientra la possibilità che chiunque possa diffondere notizie, vere o false, condivisibili o meno che siano. Nel piccolo cosmo facciamo tutti lo stesso gioco. Riportare, diffondere, commentare sono attività sviluppate e predilette dagli esseri umani e spesso usate senza criterio. Controllare è termine antitetico al liberare, ma ecco che si prospetta più che mai necessario quando entrano in gioco altri interessi da proteggere.
Controllo o censura?
Il mitico fact checking, ossia la verifica puntigliosa dei fatti e delle fonti, tesa a valutare la fondatezza di notizie o affermazioni specialmente per quanto viene diffuso mediante la rete, a chi spetta? “L’appoggio chiesto da Zuckerberg a enti terzi per il fact-checking dei contenuti, dal canto suo, sembra problematico già in partenza ed è anche legittimo domandarsi se spetti davvero a Facebook fornire questo tipo di servizio” affermava Philip Di Salvo per Wired nel gennaio 2017. Se si tratta di limiti alla diffusione siamo tutti d’accordo, se si tratta di censura meno.
Negli ultimi anni però sembra di essere già oltre: “Abbiamo da poco onorato il mito del fact-checking, ma adesso stiamo sprofondando con rapidità inesorabile nella post-verità” afferma Pierluigi Battista sul Corriere. La post verità fa riferimento a situazioni e contesti in cui i fatti oggettivi e verificabili hanno meno influenza sull’opinione pubblica di quanta ne abbia l’appellarsi ad opinioni personali e interpretativi. Lee McIntyre, ricercatore e docente ad Harvard, nel suo saggio “Post Verità” approfondisce i fattori che hanno condotto a questo ancora più nuovo approccio ai fatti e gli studi che permettono di interpretarlo e contrastarlo. “Il cuore della scienza è il pensiero critico più che qualunque altro metodo o teoria, il contrario dell’ideologia che anima e sostiene la post verità”. Insomma, liberi tutti ma con senso critico.
1 commento