L’industria digital è senza alcun dubbio una delle più dinamiche e ad alto coefficiente di crescita, dominata dai colossi americani e in misura minore, da quelli cinesi. Tuttavia, data la natura del servizio offerto, l’enorme crescita del settore non ha portato equi benefici fiscali a tutti i Paesi. L’Italia è sicuramente uno dei Paesi svantaggiati. Nel Bel Paese, infatti, durante il 2018, a fronte di circa 2,4 miliardi di fatturato, la tassazione è ammontata solamente a 64 mln di euro. I dati derivano da uno studio Mediobanca sulle prime 15 aziende digitali.⠀
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A tal proposito, l’Italia ha introdotto, dopo più di due anni di attesa, la famigerata “digital tax” che mira a ridurre il divario tra fatturato e entrate fiscali. Dal primo gennaio di quest’anno, infatti, entra in vigore la legge che prevede una tassazione del 3% sui ricavi per le aziende che fatturano 750 milioni di euro a livello globale e 5,5 milioni di euro in servizi digitali erogati in Italia.
Vengono inoltre applicate altre limitazioni sulla definizione di “servizio digitale”. L’obiettivo è di incentrare la nuova tassa sui big tech, senza andare a intaccare l’intero settore.⠀
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La legge italiana, che ha seguito quella francese (primi a introdurla in UE), ha già suscitato polemiche nel panorama americano. Il Presidente Trump ha infatti visto l’applicazione della legge come un attacco personale all’America. Il Tycoon americano ha “promesso” dazi per i prodotti italiani e francesi come risposta alla maggior tassazione per i “big tech” americani. La legge è comunque temporanea finché un accordo OCSE non sancirà una misura adeguata alla spartizione delle entrate fiscali digitali a livello globale. Riuscirà l’UE a prendere una posizione unica e agire da singolo nel panorama mondiale?
Articolo scritto da Rugabella: se vuoi leggere altri loro articoli clicca qui.