A quanto pare ero venuta al mondo per lottare.
È una delle prime frasi di Self-Made: Inspired by the Life of Madam C. J. Walker (Self-made: la vita di Madam C.J. Walker), una miniserie di 4 puntate disponibile dal 20 marzo 2020 su Netflix.
Ci è sembrato, questo, il momento migliore per parlare della prima donna afroamericana milionaria che creò da sola la propria fortuna. A interpretarla è l’apprezzatissima Octavia Spencer, già vista in The Help (2011), Il diritto di contare (2016) e La forma dell’acqua (2017).
Madam Walker, soprannome di Sarah Breedlove, sviluppò una linea di cosmetici e prodotti per la cura dei capelli delle donne afroamericane che le valse fama e successo. Fu una scalata verso l’alto, la sua: dall’estrema povertà a un business di milioni di dollari. Ma com’è andata davvero?
Un’infanzia drammatica

Madam C. J. Walker
Nata nel 1867 a Delta, piccolo villaggio della Louisiana, conobbe subito la povertà e il razzismo. A quell’epoca la sua famiglia era schiava del ricco proprietario terriero di nome Robert Burney e viveva in una baracca. Sarah non nacque schiava, a differenza dei suoi fratelli. Ciò fu grazie al Proclama di Emancipazione di Abraham Lincoln del 1866. Fin da bambina aiutò, però, i genitori nella raccolta del cotone.
Al momento di iniziare il suo percorso di istruzione, la scuola elementare che avrebbe dovuto frequentare rimase a corto di finanziamenti e chiuse. Ricevette così solo 3 mesi di educazione formale. A 5 anni perse la madre e, entro i successivi due anni, il padre. Da orfana non ebbe altra scelta se non iniziare a lavorare. Fu costretta a sposarsi a 14 anni con Moses McWilliams per sfuggire ai maltrattamenti del cognato, presso il quale viveva. A 20 anni, però, suo marito morì lasciandola sola con Lelia, figlia di 2 anni.
Sarah si trasferì con la piccola a St. Louis, presso i fratelli. La Chiesa Episcopale dei Metodisti la aiutò a trovare lavoro come lavandaia. Un’attività gravosa, usurante e malpagata. Guadagnava circa un dollaro al giorno, ma era decisa a pagare a sua figlia un’istruzione decente. Poco tempo dopo conobbe il suo secondo marito, John Davis. Un’unione infelice: Davis era un violento, alcolizzato, fedifrago e giocava d’azzardo. Si lasciarono dopo 9 anni.
Perché un business di prodotti per capelli?
Dopo un po’, credo di aver perso la speranza di aver avuto un sogno. Fu lì che cominciai a perdere i capelli.
– Sarah Breedlove in Self-Made: la vita di Madam C. J. Walker.
All’epoca era tipico per le donne afroamericane soffrire di patologie al cuoio capelluto. E così, anche Sarah Breedlove aveva riscontrato una forma severa di forfora e calvizie. I prodotti per capelli e per la pulizia dei vestiti, inoltre, erano troppo aggressivi sulla pelle. Più di questo, però, dobbiamo considerare il periodo. Nell’America di fine Ottocento molte case non disponevano di acqua corrente, elettricità e riscaldamento. Era difficile lavarsi spesso. Inoltre, ci si ammalava facilmente, anche a causa di una cattiva alimentazione.
Sarah iniziò ad apprendere i segreti della cura dei capelli dai suoi fratelli a St. Louis, che facevano i barbieri. Dopodiché divenne un’agente di vendita per Annie Malone, una milionaria afroamericana che vendeva prodotti per capelli e aveva fondato la Poro Company. Sarah raccolse la conoscenza acquisita da queste esperienze per creare una propria formula e la sua nuova linea di prodotti.
Sono una donna venuta dalle piantagioni di cotone del Sud. Da lì, sono stata promossa a lavandaia. Da lì, sono stata promossa a cuoca. E da lì, ho promosso me stessa nel business della produzione di prodotti e trattamenti per capelli. Ho costruito la mia fabbrica nel mio stesso terreno.
– Madam C. J. Walker, discorso per la National Negro Business League, 1912.
Annie Malone accusò però Sarah di averle rubato la formula dei prodotti per capelli. Impossibile stabilire se fosse stato così: gli effetti benefici degli ingredienti fondamentali, zolfo e vaselina, erano noti da parecchi anni. Tra le due donne si aprì comunque un conflitto.

Uno dei prodotti di Madam C. J. Walker
Annie Malone vs Addie Munroe: due versioni a confronto

Annie Malone. Fonte: Twitter
Nella serie Netflix, Addie Munroe (Carmen Ejogo) è un personaggio ispirato chiaramente ad Annie Malone. Addie bussa alla porta di Sarah, poco dopo l’addio di Davis, con l’intento di presentarle i prodotti per capelli. Vediamo una Sarah spezzata dentro, ferita dal marito e quasi calva. Un’immagine ricorrente nella serie: in ogni momento di debolezza Sarah rinnega quella versione di sé stessa che rivede nello specchio quando è messa più volte davanti a un bivio: fallire o reagire agli ostacoli. “Mi domandavo: se a Dio non piace la bruttezza, perché mi ha creato? Se al mondo c’è tanta bellezza, perché in me ce n’è così poca?” pensa Sarah nel primo episodio.
La vera Annie Malone era una pioniera dell’industria della bellezza (secondo il National Museum of African American History and Culture) afroamericana. Nata Annie Minerva Turnbo, fu inventrice di una linea di prodotti per la salute del cuoio capelluto, chiamata Poro. Sarah Breedlove è stata in effetti una delle sue agenti di vendita.
Secondo la serie, invece, Addie Munroe rifiuta di assumere Sarah come agente. Per Addie, Sarah è troppo scura e poco attraente per rappresentare i prodotti. Quando Sarah si trasferisce per vendere la propria formula, Munroe la segue per ostacolarla.

Addie Munroe e Sarah Breedlove in Self-Made. Fonte: Serialminds
Munroe viene da una famiglia ricca ed è mulatta, mentre la vera Malone proveniva da genitori schiavi, che perse da piccola proprio come Sarah. Riuscì anche a frequentare la scuola fino ai primi anni di superiori. Sperimentò gli ingredienti intorno ai 31 anni, fino ad ottenere il Wonderful Hair Grower che la rese famosa. Assunse Sarah dal 1903 per promuovere e vendere i suoi prodotti. Malone raccontò, anni dopo, che fu lei in persona a curare il cuoio capelluto di Sarah. Era solita vendere porta a porta offrendo una prova gratuita dei suoi trattamenti ed è probabilmente così che le due si incontrarono. Sarah sostenne invece che la propria soluzione proveniva da un sogno.
Annie Malone ebbe successo a livello nazionale. Istituì il primo Poro College nel 1918. Era una scuola di cosmetologia, ma anche il suo ufficio, il centro di produzione delle sue creme e talvolta la sede di rappresentanza per organizzazioni di persone di colore come la National Negro Business League. Malone arrivò a un patrimonio stimato di 14 milioni di dollari e 32 Poro College. Per qualcuno divenne milionaria anche prima di Madam Walker, ma non ci sono prove che possano documentarlo.
A un certo punto, Annie Malone divorziò dal marito che era anche suo socio d’affari. Questo le costò un rallentamento economico e una disputa per la divisione delle proprietà. Il marito vantava appoggi politici che secondo lui erano stati il vero motivo del successo della Poro Company. Ma Annie Malone riuscì a risollevarsi e neppure la Grande Depressione abbatté la società.
Le cronache storiche la ricordano inoltre come una filantropa. Donò a svariati istituti e orfanotrofi. Perché, dunque, non viene ricordata con la stessa attenzione di Madam Walker? Tra le ragioni concrete troviamo che la figlia Lelia (che in seguito cambiò nome in A’Lelia) ha portato avanti la sua eredità e la sua famiglia ha poi raccontato la vita di Madam Walker nella biografia On Her Own Ground, al quale è ispirata la serie Netflix. Le informazioni storiche su Annie Malone sono invece ben più scarse.
Veniamo alla questione del colore della pelle, che viene evidenziata a più riprese nella serie. Secondo un tweet dell’attrice Jodie Turner-Smith è incomprensibile la scelta di inserire la disputa fra le due donne anche su questa tematica, che chiaramente non risulta veritiera poiché Annie Malone era di colore:
but being that the Addie Munroe character was based on actual person Annie Malone, WHO WAS ALSO DARK-SKINNED (!!!), i’m trying to understand why it was necessary to create a rivalry between these 2 successful female entrepreneurs & make it about skin colour… (2)
— Jodie Turner-Smith (@MissJodie) March 23, 2020
Nella serie ci vengono mostrati due tipi di imprenditrici. Sarah è orientata alla formazione e all’educazione di donne di colore, a sostenere l’importanza dell’imprenditorialità femminile e creare benefici per la comunità. Vuole che le donne di colore siano finanziariamente indipendenti. “Gli uomini con cui faccio affari sono più egoisti”, dice uno degli investitori nella serie, per ribadire il concetto che Sarah non pensa meramente al denaro. Nella realtà Madam Walker, proprio come Annie Malone, fece cospicue donazioni e fondò anch’essa istituti di formazione per donne che desiderava rendere emancipate sotto ogni punto di vista.
Addie invece è animata da uno spirito di rivalsa: vuole che il suo talento venga riconosciuto al di là del colore della pelle. Desidera essere apprezzata per le sue doti imprenditoriali, per le sue capacità di inventrice. “Voglio che tutti conoscano il talento di Addie Munroe”, dice al telefono con la madre, che non comprende la figlia appieno ma è felice che abbia una pelle più chiara: a suo dire è una caratteristica che potrebbe salvarla dal razzismo. Dietro Addie si cela anche una grande ipocrisia nei confronti di Sarah: dichiara di volere che le donne di colore si sentano belle, salvo poi dichiarare schiettamente che non saranno mai come lei. Farebbe di tutto pur di sottrarre clienti alla rivale. Arriva perfino a sponsorizzare i prodotti in chiesa, durante la funzione.
Mr. Walker

Madam Walker e C. J. Walker in una scena di Self-Made. Fonte: Vanity Fair
Nel 1906, Sarah Breedlove si trasferì a Denver e sposò Charles Joseph (C. J.) Walker, venditore di pubblicità per giornali. Da lui adotterà il cognome che la rese celebre.
In Self-Made vediamo un matrimonio inizialmente felice, dove il signor C. J. Walker (Blair Underwood) supporta la moglie nel suo progetto imprenditoriale e lavora con lei. Quando arriva la fama e Sarah pensa all’apertura di una fabbrica, C. J. Walker scompare sempre di più all’ombra della moglie. Il suo risentimento cresce al punto da tradire Sarah con la sua migliore agente e vendere i suoi segreti ad Addie.
Quali sono gli interessi in gioco?
C. J. Walker si sente colpito nel non essere più “quello che porta i pantaloni in famiglia“. Vorrebbe ripristinare i ruoli “tipici” del coniugio dove la donna è quella che accudisce il marito e si occupa della casa, mentre lui è il padre di famiglia. Bolla come egoismo il desiderio di espansione del business di Sarah.
Il padre di C. J. Walker, Cleophus (Garrett Morris), si accorge del tradimento e tenta di farlo ragionare. “Non hai abbastanza attenzioni? Ti senti solo? Trovati un hobby. Perché qualunque cosa tu stia provando ora, fidati: il rimorso è più doloroso” gli dice. Il vero amore non dovrebbe indebolirsi con gli ostacoli e la distanza, ma rafforzarsi. Parole che C. J. interpreta a modo suo, in un’ottica possessiva ed errata, orientato al rispetto dello status quo sociale e incapace di vedere la grande opportunità data dal business che la moglie sta mettendo in piedi da sola né il suo fine sociale e altruista.
Nella sua vera vita, Madam Walker non firmò mai le carte del divorzio quando il rapporto matrimoniale con C. J. si sgretolò. In Self-Made, una spiegazione è data dal fatto che non vuole essere sostituita da una nuova Madam Walker, o signora Walker. La cessione del proprio nome a un’altra donna minerebbe gli affari. Nella realtà storica, invece, i motivi della scelta non sono chiari.
Il marito minacciato dal successo della moglie? Lo avevamo visto già in Uno Stagista Inaspettato (2015) di Nancy Meyers, dove la CEO di una società di moda, Jules Ostin, ha una brillante carriera e dei ritmi incessanti che portano il marito Matt a non sentirsi considerato e tradire la donna. Il tradimento è una scelta, non una soluzione o qualcosa di giustificabile con “mi hai costretto a farlo perché mi trascuravi, è colpa tua”, che non ha mai a che vedere con l’ambizione e la carriera. Prendere coraggio e terminare una relazione è tutto un altro tipo di atteggiamento.
Razzismo? Sì, ma sullo sfondo
La tematica del razzismo in Self-Made sembra rimanere poco esplorata. Ne sentiamo parlare, ma la vediamo poco. Si riflette su personaggi secondari, ma non sui protagonisti. La storia si focalizza più che altro sulla vita di Madam Walker e dei suoi ostacoli, con molta attenzione al rapporto fra lei e Addie Munroe, ma anche con la figlia A’Lelia.
Soffermarsi maggiormente sul razzismo dell’America di fine Ottocento e inizio Novecento avrebbe dato agli spettatori un ulteriore spunto di riflessione. Si sarebbe aperto un dibattito su quanto sia stato e sia difficile ancora oggi per una donna afroamericana fare carriera e ottenere credibilità, specialmente nel mondo imprenditoriale e finanziario. È vero, può accadere che una imprenditrice incontri la propria Addie Munroe e debba ingegnarsi per trasformare la stretta competizione in un’opportunità di miglioramento. C’è però una serie di altri ostacoli, non meno importanti quelli sociali, di mentalità e culturali, da tenere a mente.
Nel pluripremiato Il diritto di contare (2016) viene esplorata proprio la vicenda reale di Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson. Si trattava di matematiche, fisiche, scienziate, supervisori e aspiranti ingegnere: delle risorse di tutto rispetto, che diedero un contributo fondamentale alla NASA calcolando le traiettorie del Programma Mercury e per la missione Apollo 11. Tutto ciò in un periodo di piena segregazione razziale, poiché siamo nell’America degli anni Sessanta, e considerando anche il sessismo.
Quante volte abbiamo visto il talento e l’ingegno di una persona venire sminuiti dal contesto sociale e dalla mentalità al suo interno? E quante volte ancora dovremo vederlo?
Omosessualità: un altro tema poco esplorato

Tiffany Haddish nei panni di A’Lelia Walker. Fonte: Bustle
Possiamo dire che anche la tematica dell’omosessualità è stata inserita nella serie un po’ come un contorno. È mancato ad esempio un confronto con la società dell’epoca o una maggiore introspezione all’interno dei personaggi coinvolti. Viene persa in qualche modo l’occasione per un dibattito anch’esso attualissimo. L’argomento rimane confinato fra A’Lelia e Madam Walker, la quale all’inizio si rifiuta di accettare che la figlia sia omosessuale e tenta di imporle una sistemazione forzata con uomini facoltosi, salvo poi comprendere.
Essere una donna afroamericana nell’America dei primi del Novecento
Nei primi del Novecento, le donne afroamericane dovevano fronteggiare problemi molteplici. Primi fra tutti il tasso di mortalità elevato e la legislazione inadeguata. Nel diritto del lavoro americano non venivano tutelati il lavoro domestico e quello agricolo, svolti da moltissime donne afroamericane e immigrate. A livello di tutele e sussidi statali uno studio mostra quanto fossero scarsi e inadeguati e la stessa “cittadinanza delle donne – non molto diversamente da adesso – rimanesse fragile nella pratica”, poiché molti diritti erano loro negati.
Le donne, scrive Giovanna Zincone, hanno accesso ai diritti di cittadinanza in quanto mogli e madri e “utilizzano a tutt’oggi quei diritti come mogli e madri di qualcuno” […] Non è la stessa cosa per gli uomini che “anche quando sono poveri, raramente chiedono sussidi solo in quanto mariti o padri” (Fonte).
Vi era poi una spaccatura interna fra donne che, pur tentando di emanciparsi e associarsi, tendevano a vedere gerarchie di razza ed etnia. L’attenzione sulle questioni di genere veniva poi catturata dai policy-maker solo quando erano le donne bianche ad essere coinvolte in un problema, in quanto considerate più importanti. Un caso fra tutti quello delle politiche sui figli illegittimi, che se nati da donne bianche avevano un valore, mentre nel caso delle donne afroamericane erano frutto della loro “passione irresponsabile e amorale”, oltreché segno di depravazione.
Per una donna afroamericana era solita la tradizione del self-help, quindi delle iniziative indipendenti. Molte spinte di self-help provenivano da chiese e club e, col tempo, divennero istituti veri e propri. Erano iniziative volte all’elevazione sociale, all’istruzione, alle attività di svago. Spesso venivano creati anche in parallelo a istituzioni per bianchi. Un esempio è quello del Colored Children’s Auxiliary a Chicago, che si sviluppò come ramo del Colored Children’s Bureau.
Quest’ultimo istituto era infatti fortemente segregato e gestito esclusivamente da bianchi. Si pensava che gli afroamericani non sapessero gestire infatti né fondi né programmi di assistenzialismo sociale e molti di loro venivano persuasi dai bianchi a lasciare loro la gestione e l’amministrazione. “I neri come razza non hanno imparato l’arte di lavorare insieme”, si dice nel Report of South Side Survey del 1931.
La fascia che più risentiva di maggiore disagio sociale e marginalità economica era quella delle madri di colore povere, sole e con una bassa istruzione. Nonostante gli insufficienti tentativi di assistenzialismo, all’epoca la via d’uscita più frequente era rappresentata dal matrimonio.
Nel complesso…

Fonte: Screenweek
Self-Made è una miniserie che tratta argomenti attuali e importanti: imprenditorialità femminile, sessismo, femminismo, razzismo, competizione, omosessualità. Offre diversi spunti per aprire un dibattito, ma in alcuni casi non riesce ad approfondirli rimanendo su un piano retorico.
Può piacere come non piacere la mescolanza di musica d’epoca e attuale – a primo impatto Seven Nation Army destabilizza un po’ nel contesto dei primi del Novecento, tanto per dirne una – nella colonna sonora. Un elemento poco apprezzato sono state le scene del ring moderno con tanto di guantoni per raffigurare la rivalità fra Addie Munroe e Madam Walker, che è comunque ben percepibile anche senza questo espediente.
Si sarebbe potuto pensare a girare più episodi per entrare nel dettaglio di certi argomenti o esplorare meglio l’aspetto psicologico e introspettivo dei personaggi.