La metà della popolazione mondiale è connessa ad internet. Il 58,6% per essere esatti. E l’86,6% di queste persone è attiva sui social media. A inizio 2020, in Italia erano 49,48 milioni gli utenti attivi di internet (l’82% della popolazione, percentuale molto maggiore della media mondiale, 59%). Di questi, 35 milioni utenti attivi sui social media, 4 milioni in più rispetto all’anno precedente.
Tra i vari social, in Italia il più visitato rimane Facebook, seguito da Youtube, Instagram e Twitter. Whatsapp si posiziona al quinto posto con una media di 2 min e mezzo come durata media di visita, in confronto alla media giornaliera sui social network che è registrata a 1h e 57 minuti. La generazione Z però registra una media più alta rispetto al resto della popolazione, con 2 h e 55 minuti giornalieri. A livello di utilizzo e finalità invece i social sono utilizzati principalmente come svago e meno come lavoro, il che segna una differenza rispetto al resto del mondo, l’utilizzo delle piattaforme per scopi professionali in Italia rappresenta solo il 31%.
Se andiamo ad osservare i dati che esprimono il coinvolgimento creato in queste piattaforme, possiamo vedere come Instagram sia al primo posto (44,04% di engagement), seguito da YouTube (28,77%) e Facebook (24,25%).
L’utilizzo di un social è indice di dati importanti come il target di riferimento, l’età e i contenuti che si vanno a ricercare. Su Facebook ad esempio l’età media è più alta, il “primo” social è anche ormai il più datato. Offre per lo più contenuti di informazione, pagine di news e politica, nonostante le grandi discussioni in tema di diffusione di fake news sulla piattaforma. Instagram invece unisce target, età e interessi differenti. I contenuti principali di questa piattaforma riguardano l’intrattenimento e lo svago. E’ il social degli influencers per antonomasia, il social che ha inaugurato le sponsorizzazioni e sul quale molti brand piccoli e grandi pubblicizzano il loro e-commerce.
Ma come la quarantena ha impattato l’utilizzo di queste piattaforme?
Durante il lockdown la popolazione mondiale si è rivolta sempre di più al mondo digitale e dei social network, e come loro anche gli italiani. La tecnologia e le piattaforme social hanno infatti rappresentato per mesi oltre che un mezzo di svago, intrattenimento e informazione, uno degli unici strumenti di comunicazione e condivisione tra persone.
Le statistiche fornite dall’analisi dei contenuti digitali sono chiare: per quanto riguarda la messaggistica istantanea, +81% di tempo speso al giorno su Whatsapp e +57% su Messenger rispetto al 2019. A fine marzo 2020, dopo un mese dall’inizio della quarantena, Facebook è il canale social con il maggior numero di minuti spesi giornalmente sulla piattaforma: una media di 26,4 minuti al giorno. Pinterest e Twitter sono gli unici due social network che hanno visto una contrazione dei minuti spesi sulle loro piattaforme, rispettivamente -29% e -18%. Tra i vari social più utilizzati, si sono distinti in modo particolare Facebook ed Instagram, ospitando rispettivamente il 50,97% e il 27,01% delle conversazioni totali, secondo i dati di blogmeter.
Ma quali sono gli effetti del tempo speso sui social?
Da quando i social hanno raggiunto percentuali elevate, il fenomeno dei social network è stato indagato e studiato sempre di più. Dai loro benefici e potenzialità ai loro danni e pericoli. Non mancano infatti le conseguenze dannose in seguito ad un utilizzo eccessivo delle piattaforme: si parla di estraniamento dalla società e dalle relazioni fisiche, di FoMo (fear of missing out), di ansia sociale e disturbi del sonno o dell’apprendimento. Negli ultimi anni soprattutto i danni eventuali della tecnologia sono sempre più studiati e indagati, e ci sono addirittura reparti di ospedali dedicati alla disintossicazione da tecnologia o social network, oltre che da video giochi. Allo stesso tempo però, sono un ottimo modo per esprimersi e confrontarsi col mondo in un modo di rappresentarsi alternativo.
Negli ultimi anni, gli stessi professionisti del settore hanno iniziato a criticare e apertamente attaccare il sistema di gestione dietro ai social network. Chamath Palihapitiya e Sean Parker, tra i primi presidente e vicepresidente per l’aumento di utenti di Facebook, nel 2017 hanno incolpato il social di distruggere il tessuto sociale. Entrambi si sono soffermati sull’effetto che Facebook ha sulla dopamina, un importante neurotrasmettitore che tra le varie funzioni influisce anche sulla sensazione di piacere. Ricevere un like su una foto o una reaction su un commento ha un effetto di piacere momentaneo che difficilmente può essere compensato da altro. Spinti dall’aver ricevuto un “mi piace”, gli utenti sono invogliati a pubblicare altre immagini, altri post e commentare le foto dei propri amici. Entrando in una sorta di spirale da cui è difficile uscire.
A queste voci si è aggiunta nel 2019 quella di “The social dilemma” un documentario edito da Netflix. In esso compaiono molte voci di professionisti del settore che mostrano il funzionamento dei social network e di internet soprattutto per quanto riguarda l’aspetto di privacy e utilizzo dei dati. Il documentario ha fatto molto discutere, soprattutto per quanto riguarda temi come i danni prodotti dai social media sulla società e la crescita. Soffermandosi sulla manipolazione che ne fanno sui dati e la sorveglianza per finalità commerciali.
Secondo una ricerca della Royal Society for Public Health britannica realizzata insieme allo Young Health Movement, la piattaforma più problematica per la salute mentale dei giovani è Instagram. Dai risultati dello studio, il social dedicato alle immagini favorisce la promozione della propria identità, ma allo stesso tempo porta alla depressione e all’ansia. Ogni volta che si pubblica un’immagine si ha paura di quello che gli altri utenti possano pensare.
Un altro studio realizzato dall’American Academy of Pediatrics sottolinea la pericolosità di Instagram e Snapchat per la salute mentale delle persone. Vedere le immagini di altri utenti con milioni di follower e con corpi perfetti potrebbe portare a uno stato d’ansia e di depressione. O peggio ancora alla voglia di imitazione. La veicolazione di canoni di bellezza e perfezione irrealistica, che una volta erano principalmente retaggio del mondo pubblicitario, oggi sono di ampia fruizione sui social. Per rispondere a questa tendenza, negli ultimi anni sono nate e si sono sviluppate riguardo all’argomento sempre più correnti e riflessioni che hanno portato soprattutto le nuove generazioni verso una maggiore consapevolezza di sé. Lo scopo della body positivity è infatti proprio quello di veicolare immagini e fotografie più simili alla realtà, per promuovere una concezione a 360 gradi dell’immagine e del corpo.
Mark Zuckerberg ha commissionato una ricerca per scoprire come rendere più felici le persone che ogni giorno utilizzano i social media. Lo studio portato avanti insieme agli esperti spiega come l’uso passivo della piattaforma, a differenza di quello attivo, porta a problemi mentali. Entrare sul proprio profilo, scrollare verso il basso, non trovare nessun post che soddisfi e uscire dal profilo, porta l’utente a essere triste. L’interazione attiva (molto semplicemente il commentare i post degli altri utenti) porterebbe invece a un miglioramento del proprio benessere mentale.
I risultati di questa ricerca hanno quindi convinto qualche anno fa Mark Zuckerberg a cambiare l’algoritmo che gestisce il NewsFeed di Facebook, la sezione notizie che compare all’ingresso del social network. Il nuovo algoritmo mostrerà nelle prime posizione i post dei propri amici e parenti, che secondo i risultati delle ricerche sono quelli che rendono maggiormente felici gli utenti. I post delle pagine, invece, saranno penalizzati e posizionati al fondo in base all’ordine di scroll.
I social da vetrina e specchio della società sono negli ultimi anni sempre di più attori in grado di condizionarla. Restarne al di fuori è sempre più difficile e quasi impossibile. Partono da una scelta di rappresentazione di noi stessi che decidiamo e gestiamo noi e finiscono per influire sull’interazione che abbiamo con gli altri e la percezione di noi stessi. Imparare ad usarli in maniera consapevole, come tutte le cose, è la chiave per limitare i danni e aumentare i benefici.