San Giovanni in Persiceto: è qui che inizia la storia quel 25 marzo 1986. Proprio quel giorno, mamma Iole e papà Daniele diedero alla luce il loro figlio Marco, e nulla fu più come prima. Marco era un ragazzo tranquillo e molto legato alla famiglia. Questa per Marco era tutto: i genitori sono sempre stati il suo punto di riferimento. Ma anche il nonno, prima persona che gli installò in cortile un canestro, aveva un ruolo fondamentale. Non a caso infatti il tatuaggio definito “più importante” da Marco Belinelli è quello di un cappello, lo stesso copricapo che nonno Antonio indossava sempre. Ma questo tatuaggio non è l’unico che racconta la sua vita.
Un’altra storia importante è legata ai guantoni da boxe, e a quella figura che l’ha sempre accompagnato: Rocky Balboa. “Fin dall’infanzia – ricorda Marco – usavo ballare in casa sulle note della famosa colonna sonora di Rocky, mentre mio fratello si esercitava nelle sue coreografie di pattinaggio”. Arrivato in NBA poi, non passò inosservata ai tifosi la sua leggera somiglianza con l’attore Sylvester Stallone. Ed ecco che appena il suo apporto al match diventava più corposo, dagli spalti si alzava il coro unanime “Rocky, Rocky”. E la storia non finisce qua. Perché il fato ha voluto che nel lungo viaggio di Belinelli in Nba, si sia ritrovato per una stagione a Philadelphia, la città di Balboa ovviamente. Ed ecco che Marco non si fa scappare l’allenamento sui gradini della città, resi famosi proprio dal film.
Tornando ai suoi primi anni di vita, Marco ovviamente ricorda poco. Mai dimenticherà però il suo primo tema scolastico. “Da grande farò il giocatore di pallacanestro”. Era questo il titolo. Le idee sembravano piuttosto chiare fin da subito. Chiedendo di Marco ai compaesani invece, ricordano tutti la stessa immagine: “Lo vedevamo spesso passeggiare per strada con la palla in mano, non la lasciava mai”. E non era un caso.
Gli anni nelle giovanili di Marco Belinelli
L’inizio dell’avventura cestistica è nel 1993, quando Marco venne preso nelle giovanili della VIS Persiceto. A soli sette anni, Marco Belinelli debutta su un campo di basket, contro la Ghepard Bologna.
Abituato a sfidare il fratello maggiore Enrico, anche lui membro della VIS, era molto differente ciò che gli toccava allora. I tanti pomeriggi trascorsi nel cortile però, non lo fanno arrivare impreparato, e fin dai primi passi mostra di non essere come gli altri ragazzi. Ciò che si nota fin da subito è la freddezza di fronte alle difficoltà, e nei momenti decisivi. La sua superiorità lo porta molto presto nei radar delle grandi squadre, e in particolare della Virtus Bologna. Grazie all’importanza della squadra, e alla vicinanza con il suo paese, Marco non ha dubbi sul trasferimento. Ed ecco che dai 12 ai 15 anni, Marco partecipa ai campionati provinciali e regionali, portando spesso la sua Virtus alla vittoria finale, e ottenendo i premi di miglior giocatore. Questo ovviamente non passò inosservato dalla prima squadra.
Il debutto in Serie A
Giunto ai 15 anni, Marco viene visionato da un grande esperto di pallacanestro, Ettore Messina. Ettore, coach della prima squadra, lo vuole nel suo roster, ad allenarsi al fianco di Manu Ginobili (questo incontro non sarà l’ultimo tra loro). Quando Marco Belinelli compie 16 anni, coach Messina non ha dubbi: è pronto per esordire. Ed ecco che nell’aprile 2002, la giovane guardia debutta in Serie A contro Udine, segnando l’inizio di una lunga carriera.
Nel 2003 però le cose non vanno bene per la Virtus, che non supera una crisi finanziaria. Belinelli è costretto a cambiare, e non volendo allontanarsi dalla famiglia, firma per la Fortitudo Bologna. I nuovi allenatori, colpiti dal suo talento, propongono a Marco di smettere di andare a scuola per giocare a basket. La scelta però spetta ai genitori, che data la grande fiducia che ripongono in Marco, accettano l’idea delle scuole serali. Marco Belinelli è quindi a tutti gli effetti un giocatore professionista di basket, e non tardano ad arrivare anche i risultati.
Il primo anno nella squadra maggiore non gioca molti minuti, ma ha la fortuna di poter debuttare in finale di Eurolega e finale scudetto, anche se entrambe perse.
Nell’anno successivo le cose vanno meglio. La squadra arriva ancora in finale scudetto, ma sta volta, al Forum di Assago Beli non perde l’occasione, conquistando così il suo primo trofeo a 19 anni.
L’anno seguente è quello della svolta per Belinelli, titolare nella squadra da battere. Si rende assoluto protagonista nel portare la squadra alla finale di Serie A per il terzo anno consecutivo, ma nell’ultimo atto deve arrendersi alla Benetton Treviso.
A soli 20 anni, Marco era già conteso da molti in Europa, e l’interesse oltreoceano stava crescendo. La famiglia però era ancora al primo posto, e rimane così a Bologna. La nuova annata è difficoltosa per la squadra, ma in campo Belinelli continua a dare segni di crescita personale, non passati inosservati alla NBA e alla Federazione Italiana, che decide di premiare Marco con il “Premio Reverberi” (detto anche “Oscar del basket”).
La partita della svolta di Marco Belinelli
In certi casi si può essere soddisfatti anche dopo una sconfitta, ed è proprio quanto accaduto a Marco Belinelli nell’agosto 2006. A Sapporo in Giappone si giocano i mondiali di basket, e Marco è presente con la sua Italia. Il sorteggio sfortunato vede capitare l’Italia nello stesso girone dei campioni americani. Ma con il senno di poi, quella fu tutt’altro che sfortuna per Belinelli.
La partita inizia forte per l’Italia, che prende alla sprovvista dei deconcentrati Stati Uniti. La forte fase difensiva, si trasformava spesso in veloci contropiedi azzurri, intenti ad abbattere la fortezza americana grazie alla giornata di grazia di Marco Belinelli. L’inizio della ripresa è differente per gli USA, che grazie alla classe che li contraddistingue, ribaltano il match con un’incredibile Carmelo Anthony (35 punti). L’Italia esce dal match sconfitta, ma a testa alta. Il miglior marcatore degli azzurri era il giovane Marco Belinelli (25 punti), che per più di un tempo ha contrastato lo strapotere americano.
E tutto ciò rimase ben impresso negli occhi dei manager oltreoceano, decisi a non farsi scappare quel talento.
L’inizio del sogno: l’approdo in NBA
Estate 2007: i tanti anni a Bologna e in Nazionale, hanno portato in Marco la consapevolezza di essere all’altezza di palchi più prestigiosi. Ed ecco che in quell’estate inizia il sogno oltreoceano. I mesi di giugno e luglio lo vedono impegnato in un tour de force di allenamenti con le varie squadre, per mettersi in mostra. Questi workout, per un ragazzo, sono quell’occasione più unica che rara da sfruttare al massimo. Tanto di più se quel ragazzo è europeo, e quindi non sempre visto di buon occhio dai colleghi americani. Marco è impegnato in allenamenti duri tutti i giorni, dovendo viaggiare da una parte all’altra del Paese senza un attimo di sosta.
Essere lì è la prima parte della realizzazione del suo sogno, e per questo deve dare tutto ciò che aveva. Riguardo alla pesantezza di quegli allenamenti, lo stesso Marco afferma: “gli ultimi allenamenti ero quasi intenzionato a non farli, il mio corpo non rispondeva come volevo io, dopo i grandi sforzi fatti”. E se un ragazzo che stava vivendo il proprio sogno, provava questo, si può capirne la difficoltà.
Ma Marco Belinelli non molla mai, come sta ad indicare il samurai tatuato appositamente sulla sua pelle. E così arriva il 28 giugno 2007. New York. “With the 18th pick, in the 2007 NBA Draft, the Golden State Warriors select: Marco Belinelli, from Bologna, Italy”. Furono queste le parole del commisioner NBA David Stern. Così a soli dieci mesi da quel match contro i giganti americani, Marco Belinelli entra a fare parte della loro lega. La lega più importante al mondo.
La carriera americana parte quindi da Oakland, California, casa dei Golden State Warriors. Tutto qui è diverso e nuovo; le abitudini, i ritmi, i compagni di squadra. Le difficoltà si presentano già dal primo giorno di Summer League, quando arrivato in ritardo all’allenamento, si prende la prima lavata di capo dal coach. Ma come suo solito Marco non si scoraggia, e nel primo match della competizione estiva, infila 37 punti in una delle migliori prestazioni per un giovane giocatore. Dopo il torneo giocato in estate, per i giovani, inizia il vero training camp con la prima squadra. Anche se con l’allenatore i rapporti non furono mai idilliaci, Marco non fatica a mettersi a suo agio con i compagni di squadra, e con la nuova città. Da lì a poco infatti, nel ristorante “Marche” di San Francisco, arrivano sul menù le Lasagne Belinelli, a dimostrazione della sua importanza anche fuori dal campo.
A fine ottobre però è tempo di esordire in NBA. Sul campo di casa arrivano gli Utah Jazz, e Marco Belinelli gioca i primi 12 minuti della sua storia nella nuova lega. Piazza due triple, e fin da subito mette in chiaro le sue caratteristiche principali. L’inizio però è difficoltoso, sia in campo che fuori. In campo la squadra subì una lunga serie di sconfitte, e Beli vide poco il parquet. Anche fuori dal campo le cose non andavano bene, ricevendo due multe nel giro di pochi giorni. La prima fu causa dei troppi biscotti che mangiava, non seguendo la dieta necessaria. La seconda invece per colpa del suo amico più grande, Sappo, beccato addormentato sugli spalti del palazzetto, durante l’allenamento della squadra. La prima stagione alla fine vede i suoi GSW, fuori dai playoff per poco, ma Marco divenne fin da subito il miglior tiratore da 3 punti del roster.
Tra prima e seconda stagione, durante la pausa estiva, Belinelli prende parte al “Rookie Transition Program”. Questo corso prevede delle lezioni rivolte ai neoentrati nella lega, per essere in grado di gestire la loro fama e ricchezza, e pensare già come sopravvivere una volta finita la carriera. Finito il corso Marco è pronto a dare il via alla seconda stagione, sempre agli Warriors. L’inizio è peggiore dell’anno precedente. I minuti in campo sono spesso zero, ma in NBA tutto può accadere. A dicembre infatti la storia cambia, grazie ad una buona prestazione riesce ad ottenere la sua occasione. Ma proprio nel momento più alto di forma, e minuti, si abbatte su di lui un infortunio. Nonostante il recupero, Belinelli ha di nuovo perso il treno giusto, e il resto della stagione fu da dimenticare.
Dopo due stagioni ad Oakland, Marco si aspetta di ricominciare lì anche la terza, ma in NBA nulla è sicuro.
La rinascita: Toronto Raptors
Estate 2009: Marco come ogni anno torna in Italia. Sembra un giorno come tutti gli altri, ma qualcosa era destinato a cambiare. Il telefono squilla, è il suo agente: “I Golden State Warriors ti hanno scambiato, ora sei un giocatore dei Toronto Raptors”. Dopo due anni di ambientamento quindi, è l’ora di una nuova inaspettata esperienza. I Raptors sono una squadra molto europea, con giocatori spagnoli, turchi e anche italiani. Infatti, oltre Marco, c’è Andrea Bargnani; prima scelta assoluta al draft 2006. Belinelli vede fin da subito questa nuova parte di carriera come la sua rinascita. Per questo motivo chiede esplicitamente di indossare il numero 0, appunto per “ripartire da zero”.
L’inizio di stagione per Beli è migliore di quelli passati, è costretto ancora a partire dalla panchina, ma questa volta i minuti in campo ci sono. Arrivano soddisfazioni nella prima parte di stagione, come in quella partita contro i Knicks. Prima partita della storia NBA con tre italiani sul parquet. Ad inizio febbraio il miglior periodo della squadra, coincide anche con la partenza di Marco da titolare, ma questo dura poco. Il finale di stagione purtroppo è sottotono sia per la squadra canadese, che per l’azzurro, trovandosi fuori dai playoff. Il brutto finale di stagione, condizionato anche dal clima spiacevole nello spogliatoio, porta Marco in un periodo di crisi. L’esclusione dai playoff e quindi la fine anticipata della stagione, permette a Belinelli di tornare in Italia, e spendere la sua estate sull’allenamento in vista del ritorno a Toronto. Ma le aspettative nella lega americana spesso non si realizzano.
Le stagioni della svolta: New Orleans Hornets
L’estate per i tutti i cestisti è un momento fondamentale; non solo riposo, ma tanti allenamenti. Ed ecco che Marco, convinto più che mai, si sta allenando duramente per cancellare i suoi punti deboli. In una semplice estate di transizione però, arriva ancora la fatidica chiamata del suo agente: “Toronto ha fatto una trade, sei finito ai New Orleans Hornets”.
Nella città del Jazz, Marco Belinelli trova una squadra decisa a puntare forte sui giovani, tanto che il loro allenatore era il più giovane della lega. Coach Monty Williams mette subito a suo agio il giocatore italiano, riponendo in lui grande stima e fiducia per l’intera stagione. Finalmente Beli si sente parte integrante di un solido progetto, e il coach non ha dubbi. Così parte la stagione, e dalla prima partita Belinelli è sul parquet, parte del quintetto titolare. Tutte queste emozioni insieme, sembrano spaesare un po’ la guardia italiana, che non parte bene al tiro.
Ma tutto cambiò grazie a Chris Paul, playmaker leader della squadra. “Se io ti passo la palla è perché so che puoi fare canestro, quindi devi tirare”. Queste parole furono una grande iniezione di fiducia per Marco, che oltre ad avere l’apporto dell’allenatore, aveva anche completa fiducia dai compagni. E la sua stagione prende una piega differente. Le restanti partite sono da considerare positive sia per l’italiano (oltre i 10 punti di media), che per la squadra, la quale conquista i playoff. Nuova esperienza per Belinelli quindi, che al primo turno di postseason deve incontrare i Lakers di Kobe Bryant. Gli Hornets riescono a tenere testa in alcune partite ai Lakers, e il Beli sforna prestazioni ottime. Ma nel lungo periodo fuoriesce lo strapotere gialloviola, che pone fine alla stagione dei NO Hornets.
Nonostante le sconfitte subite, tutte queste esperienze sono fondamentali per la crescita di Belinelli, che utilizza ogni situazione per imparare dai più grandi.
La stagione successiva poteva vedere una nuova corsa ai playoff per i giovani ragazzi di New Orleans, ma questo non accade. La squadra inizia a sfaldarsi, i leader cambiano canotta e i nuovi acquisti non sono all’altezza. Belinelli dispone di molti minuti da titolare, mettendo in mostra le sue abilità. Ma senza i big la stagione è troppo complicata, e per gli Hornets non c’è speranza di raggiungere la postseason. La crescita di Marco procede forte, lui stesso inizia ad essere soddisfatto delle occasioni che gli spettano. Ma la crisi della squadra prosegue anche in estate. Per colpa di difficoltà finanziare, i New Orleans Hornets non sono più in grado di dare a Marco Belinelli il contratto che merita, e questo vuol dire nuovo trasferimento.
L’offerta che non puoi rifiutare: i Chicago Bulls
Tra le molte squadre che lo cercano nell’estate 2012, spicca una in particolare: Chicago Bulls. Quella stessa squadra che diede alla gloria uno degli sportivi più importanti di sempre, e idolo di Marco fin da bambino. “Quando chiama la squadra che ha reso grande Michael Jordan, non puoi dire di no” dichiara Beli, e così accetta la proposta. Chicago si mostra fin da subito una delle città preferite in cui vivere, ma l’adattamento in squadra non è semplice. I minuti sono pochi e non da titolare, ma l’allenamento con il membro dello staff Ron Adams dà un’ulteriore spinta alla sua crescita.
A dicembre Marco inizia a carburare, prendendo molti minuti ed entrando nelle rotazioni del coach. La sua occasione la ottiene in casa dei Boston Celtics: 5 secondi alla fine, Chicago sotto di 1 punto, palla a Marco Belinelli spalle a canestro, con una mossa inaspettata si butta all’indietro e rilascia il tiro del tutto scoordinato. Solo retina, partita vinta.
Con la conquista dei playoff da parte della squadra, Belinelli è ancora protagonista; i palloni scottanti passano ancora dalle sue mani, prima di finire nella retina. Grazie al canestro decisivo contro i New Jersey Nets, i Chicago vincono il primo turno. Ogni volta che ne ha l’opportunità, Marco non ha paura a mostrare gli attributi (nel vero senso del termine).
Questo gesto di liberazione però, porta ad una multa di 15mila dollari, che non erano nulla comunque in confronto alla soddisfazione del momento. Con quella vittoria, Belinelli ottiene un novo record. Primo italiano nella NBA a vincere una serie di playoff. Il turno successivo li vede però affrontare i Miami Heat di Lebron. I Bulls resistono più delle aspettative, ma l’ultima parola aspetta al “Re” Lebron James, che termina la corsa della squadra di Chicago.
Stagione dopo stagione, le esperienze fatte erano già molte per Marco Belinelli, ed è quindi arrivato il momento di fare il salto di qualità: concorrere per la vittoria finale.
Il raggiungimento dell’apice: San Antonio Spurs
“Quella mattina a San Giovanni in Persiceto – racconta Marco Belinelli – il primo segnale di cambiamento arriva dall’acqua sul tavolo. Mamma aveva cambiato marca, e l’etichetta segnava S. Antonio”. Quel banale momento di vita quotidiana si trasformò più tardi in un segno del destino, che difficilmente Marco dimenticherà. In estate, nonostante il volere contrastante di Coach Williams, Chicago non è più disponibile a rinnovare il contratto del giocatore azzurro. Questa situazione Marco la conosce già molto bene, e le offerte anche sta volta sono varie. Quel pomeriggio lì però arriva la chiamata più attesa. “Marco ti vogliono i San Antonio Spurs”.
La squadra di Coach Popovich arriva da una finale NBA persa, pronta alla rivincita, e volevano rafforzare il loro roster con la guardia azzurra. Marco è estasiato da questa proposta, e non ci pensa un secondo prima di accettarla. Arrivato in città, ecco che Marco ritrova nello spogliatoio Manu Ginobili, lo stesso giocatore con cui molti anni prima condivideva lo spogliatoio a Bologna. Manu, Tony Parker e Tim Duncan sono i leader di quella squadra, che subito mettono a proprio agio il nuovo arrivato. In poche settimane, Belinelli riesce a trovare un gran feeling con i compagni di squadra. Aiutato anche dalla presenza di molti europei. Coach Pop è un allenatore con idee molto diverse rispetto ai suoi colleghi. Il quintetto titolare del suo team variava spesso, e tutti avevano un’opportunità per fare bene. Questo fu molto d’aiuto per Marco, che non faticò ad integrarsi nel ruolo.
La sua partenza è convincente, soprattutto per la sua percentuale di triple segnate. Questo dato inoltre non passa inosservato alla lega americana, la quale decide di dare all’italiano la vetrina che merita. Così Marco Belinelli si ritrova convocato alla gara dei 3 punti all’All Star Game 2014. Come dice il nome, questa era la serata dedicate alle stelle, e Marco era presente. La sua dedizione al gioco però non voleva rendere lui stesso un semplice partecipante, ma un vero protagonista. Con la solita faccia che non traspare emozioni, Beli inizia a fare ciò che gli viene meglio: canestro. Supera il primo turno. Supera il secondo e arriva testa a testa con Bradley Beal. La prima sfida finale finisce in pareggio, ma nello spareggio Beli alza ancora il livello. 22 punti. Campione. Marco Belinelli è il re del tiro da tre punti.
Sì, perché se partecipa deve essere protagonista, e così è. Ed ecco di conseguenza l’ennesimo record: primo italiano in grado di vincere questa competizione. Ma la stagione continua, con obiettivi ancora più grandi. Il post All Star Game è molto positivo per gli Spurs, e Beli è coinvolto in pieno. La stampa arriva a definire il loro gioco come “The Beautiful Game”. E non hanno intenzione di smettere. Arrivano così ai playoff.
La postseason parte in salita, ma nel momento del bisogno escono fuori i campioni. La forza dei singoli permette quindi di superare i primi due turni, ed approdare alle finali di Conference. In questa fase esce tutta la grinta di chi vuole riconquistare le finali NBA. Per Belinelli è una serie con alti bassi, si passa dai 25 minuti in una partita ai 4 di quella dopo. Ma nonostante ciò, la sua presenza si fa sentire ogni volta che entra in campo. Gli Oklahoma City Thunder di fronte non si lasciano sottomettere, ma dopo gara 6 il tabellino diceva Spurs-Thunder 4-2. La squadra di San Antonio, per la seconda volta consecutiva è in finale NBA. Marco Belinelli può finalmente gareggiare in quei match che qualche anno prima vedeva solo nelle videocassette.
Nella serie finale ecco di nuovo i Miami Heat, campioni in carica. Con l’inizio delle Finals, i San Antonio Spurs rigettano tutta la grinta maturata dopo la sconfitta dell’anno precedente, diventando una sorta di macchina schiacciasassi. Nonostante le vittoria di Miami in Gara 2, che porta la parità nella sfida, le forze delle due squadre non si equivalgono. In gara 3, 4 e 5, Belinelli vede il parquet poche volte, ma la squadra esprimendo al massimo il suo “Beautiful Game” distrugge gli avversari. Dopo 105 partite di stagione, i San Antonio Spurs sono campioni NBA. Marco Belinelli è il primo azzurro della storia a vincere il campionato di basket americano.
Nei minuti successivi la sirena dell’ultima gara, i sentimenti di Marco finalmente escono fuori. La felicità è immensa in quel viso nascosto dietro la bandiera italiana. Durante un grande pianto liberatorio Marco riesce comunque a fare i ringraziamenti, ovviamente rivolti ai genitori e agli amici che ci sono sempre stati. In conclusione, la liberazione è anche tramite le parole. Solo 4 parole, che vogliono dire tanto. “Alla fine ho vinto”.
Ce l’ha fatta Marco, dopo tutti i minuti passati a guardare dalla panchina, in squadre che non lo volevano, dopo estati trascorse interamente ad allenarsi, ce l’ha fatta. Da quel giorno un enorme peso ha lasciato il suo corpo, permettendogli di proseguire leggero e soddisfatto di se stesso.
L’estate post vittoria, per la prima volta non è dedicata principalmente agli allenamenti. Anzi, i festeggiamenti sovrastano la preparazione, portando Marco fuori dalla forma perfetta. Con il ritorno a San Antonio, nello staff Spurs Belinelli ritrova Coach Messina, che lo aiuta a tornare sulla strada giusta. Adesso i “bolognesi” sono 3: Belinelli, Ginobili ed Ettore Messina.
La ripresa da Campione NBA
La nuova stagione parte con la consegna degli anelli (trofeo della vittoria NBA), Marco riprova quelle stesse emozioni provate qualche mese prima.
Questa annata però non va come la precedente. La partenza è difficile e a novembre Belinelli è vittima di un infortunio, che porterà avanti per l’intera stagione. La squadra non gioca più così bene, colpita dagli infortuni, e forse dall’appagamento. Nonostante la sconfitta finale al primo turno, e la conseguente uscita dai playoff, non mancano le soddisfazioni conquistate dalla guardia italiana. Belinelli è infatti l’autore del canestro decisivo per la millesima vittoria di Coach Popovich in NBA. Traguardo immenso per chiunque. Altro momento indimenticabile è la visita alla Casa Bianca. Durante le congratulazioni di Barack Obama ai giocatori Spurs, il presidente USA dichiara: “Marco manca tantissimo ai miei Bulls”. Frase che riempirebbe d’orgoglio chiunque.
Al termine della stagione però, è terminata anche l’esperienza Spurs, e per Marco è ora di nuove esperienze.
Il post San Antonio Spurs
In quella nuova estate italiana, nel suo paesino il nuovo campione NBA è ormai un’istituzione. San Giovanni in Persiceto decide così di onorare Marco in qualche modo, dichiarando il 18 settembre come “Beli Day”. Festa di tutto il paese.
Nel mentre l’attesa per una nuova squadra si rinnova. Questa volta le aspettative non sono più puntare al titolo ad ogni costo, ma ottenere finalmente il contratto che merita. Dopo San Antonio, per Marco inizia un lungo viaggio che lo vede cambiare 5 canotte in sole 3 anni.
Tutto parte da Sacramento, i Kings offrono un contratto di 3 anni a 19 milioni. Nonostante il contratto oneroso, il feeling con la squadra non nacque mai, tanto da definire questa annata come “la peggior stagione della sua carriera NBA”.
Con la volontà di cambiare squadra, approda agli Charlotte Hornets, alla corte di Michael Jordan (proprietario della franchigia). Questo periodo vede una sorta di riscatto per Beli (oltre 10 punti di media), ma la squadra non raggiunge la postseason.
La stagione 2017-18 vede Marco Belinelli cambiare altre due squadre. L’inizio di stagione è con gli Atlanta Hawks, visto più che altro come periodo di passaggio. Il nuovo trasferimento lo porta poi a Philadelphia (la “casa” di Rocky Balboa). Qui Marco si ritrova in un roster determinato, con alte potenzialità. Il suo contributo alla causa è consistente, con oltre 13 punti a partita. La forza dei Philadelphia 76ers permette all’azzurro di tornare in una serie playoff dopo qualche anno. Belinelli è impiegato al massimo in tutte le partite, superando anche i 30 minuti sul parquet. Le prestazioni dell’italiano sono ottime, ma la sfida contro i Boston Celtics al secondo turno vede svanire le speranze di proseguire oltre.
Tutti questi viaggi portano nella bacheca del Beli un nuovo record: primo giocatore NBA a segnare più di 50 triple con 9 squadre differenti.
Un’altra stagione nel mentre è finita, ed è ora di tornare a casa. In tutti i sensi. L’estate 2018 ovviamente la trascorre con la famiglia e gli amici nel suo paese natale, ma non è l’unico ritorno a casa. La stessa estate infatti arriva una nuova chiamata dai San Antonio Spurs, la sua seconda casa. Marco in precedenza aveva già dichiarato che gli sarebbe piaciuto concludere la carriera a San Antonio, e non si fa sfuggire l’opportunità. Le stagioni 2018 e 2019 le passa così nel luogo che l’ha reso un vincente, con quelle persone che l’hanno messe a proprio agio fin dal primo giorno. Gli obiettivi purtroppo non sono più gli stessi di qualche anno prima, ma sotto la guida di Coach Popovich mai dire mai. La pausa forzata dalla pandemia attuale non fermerà la voglia di giocare, al contrario la farà aumentare a tutti i giocatori. Anche Marco lo pensa: “dentro di me ci sarà sempre l’entusiasmo e la forza di quel bambino cresciuto a Persiceto”. E speriamo di rivederlo presto.
Una storia tormentata: La Nazionale Italiana
“Baratterei ogni record per vincere con la Nazionale”. In questa frase si rinchiude la lunga e travagliata esperienza di Marco Belinelli al servizio del proprio paese.
Una carriera con la maglia azzurra piena di record infranti, ma vuota di trofei conquistati.
Con la maglia azzurra Belinelli ha preso parte a 2 Campionati Mondiali e 5 Campionati Europei.
In quanto Europei, i migliori piazzamenti arrivarono nel 2015 e 2017.
Ad EuroBasket 2015 l’Italia arriva con una squadra ben attrezzata, composta da 4 giocatori NBA o ex. Durante i gironi, una partita su tutte dà la spinta necessaria agli azzurri per raggiungere gli ottavi. Quell’Italia-Germania fu piena di emozioni. Con un Belinelli da 17 punti ed un Gallinari (25 punti) decisivo nei minuti finali, gli azzurri sconfiggono i tedeschi dopo il tempo supplementare.
Gli ottavi di finale contro Israele sono una passeggiata. Ma purtroppo, nel momento migliore della nazionale, arriva la Lituania. Questa volta il tempo supplementare non è favorevole, e gli azzurri sono costretti a salutare il torneo.
Nel 2017 la storia è simile. I gironi vedono un’Italia competitiva, e anche gli ottavi contro la Finlandia sono cosa facile. Ma ecco che i quarti di finale, come due anni fa, diventano letali. Nel match contro la Serbia gli azzurri utilizzano tutte le loro forze. Belinelli è ancora decisivo con 18 punti. Ma tutto ciò non basta. La Serbia è dominante, e ancora una volta pone fine alla corsa azzurra.
Per quanto riguarda i Campionati Mondiali, quello del 2019 vede Marco Belinelli come leader della sua nazionale. Ma ancora una volta non va come sperato. Nel match dei gironi, decisivo per il passaggio del turno, Belinelli è irriconoscibile. Con 3/16 dal campo segna soltanto 7 punti. La sua peggior prestazione quindi coincide con l’ennesima eliminazione dell’Italia da una grande manifestazione.
Il futuro di Marco Belinelli
Dopo i tanti traguardi raggiunti da Belinelli nella sua carriera, il trofeo con la Nazionale resta l’unico grande passo che gli manca. Questo obiettivo però sembra ancora più complicato degli altri. Infatti, dice lo stesso Marco, la Nazionale dipende da tanti fattori e non solo dai giocatori in campo. “Perché la Nazionale non vince? Difficile capirlo, ci dispiace tantissimo ma affrontiamo sempre squadre di grande valore, da noi però i giovani non hanno spazio e il livello del campionato è sceso, anche per questo andiamo in difficoltà nelle competizioni internazionali.”
Tutto ciò però non fa perdere a Marco e agli altri azzurri la motivazione di provarci ancora nel futuro. Raggiungendo magari la qualificazione a nuove competizioni. “Le Olimpiadi sono un sogno ma sarà molto complicato, sono rimaste fuori formazioni come Grecia, Serbia, Slovenia, Lituania, Turchia e Croazia”.
Per quanto riguarda invece la carriera con la maglia del club, il futuro può ancora dire tanto. Il contratto con San Antonio scade alla fine di questa stagione, e per la prima volta in carriera, il prosieguo in NBA non è più così certo. Dopo il ritorno di Ettore Messina in Italia, Marco commenta così: “Seguirlo in Italia? Io ho ancora un anno di contratto e l’idea è quella di rimanere nella Nba il più a lungo possibile, ma è una soluzione che non escludo. Un giorno tornerò”.
Il futuro per Marco può essere ancora pieno di sorprese. E se il futuro sarà nel nostro Paese, saremo in grado di riaccogliere in Patria quel ragazzo di Persiceto divenuto Campione tra i più grandi.
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