Uomini che non arriveranno mai ad accettare la figura della donna nella propria vita e di conseguenza nella società. Uomini che non placano il proprio odio e invidia per il successo e per le capacità della donna. Che quotidianamente dimostrano con il proprio comportamento l’incapacità di amare che li ha resi tali mostri. Spesso si presentano come persone gentili, educate, capaci di relazionarsi con chiunque. E’ questa la strategia con cui attirano le loro vittime. Ed è proprio qui che ricercare l’etimologia più arcaica di questa definizione ci aiuta a comprendere la bipolarità di individui di questo genere. La parola persona, dall’omonimo termine latino, racchiude il significato di “maschera”.
Sarà questa velatura a portare giorno per giorno le ignare donne a riporre fiducia incondizionata in compagni che con il passare del tempo riveleranno la loro vera natura. La parola greca che a mio parere racchiude al meglio l’incoerenza di questo tipo di atteggiamento è “farmakon”. A seconda del contesto, può assumere sia il significato di “cura” sia quello di “veleno”. Fa inorridire pensare che le conseguenze contenute da questo doppio significato siano agli antipodi: la vita e la morte. Dopotutto la vita e l’amore dovrebbero essere strettamente legati: come potremmo vivere senza amore? E come potrebbe esserci vita senza amore? È proprio a causa dell’odio che però non si può parlare né di amore né di vita.
Un po’ di dati
Basta un numero per rendere questa frase tangibile: tremilatrecento. Sono proprio tremilatrecento le fidanzate, compagne, madri e mogli strappate dalla loro vita dal 2000 ad oggi attraverso un destino tragico, a volte inaspettato. In Italia ogni due giorni muore una donna. Oggi magari finiranno tutti i tuoi sogni, i tuoi desideri e la tua quotidianità. Oggi magari cesserai di essere protagonista della tua vita lasciando dietro di te un’infinita scia di dolore e, chissà, forse dopodomani toccherà proprio a me. Arrivati alla più tragica conseguenza dell’estrema fallocrazia, ovvero ciò che ogni essere umano teme di più e nel profondo mai accetterà, possiamo fare un passo indietro e concentrarci sui testi di Massimo Pericolo, l’emergente rapper lombardo senza freni inibitori.
Massimo Pericolo
Il rap duro e poco incline alla melodia del giovane Alessandro Vannetti non propone nessun tema nuovo. Droga, alcol, odio verso le istituzioni, galera, soldi, malessere della provincia e il ruolo marginale e troppo spesso negativo della donna sono sempre stati argomenti che hanno avuto grande spazio e rilevanza in questo genere musicale. Massimo Pericolo si è contraddistinto per aver proposto un immaginario inedito che dà un vocabolario contemporaneo allo scontento sociale. Ma ciò non toglie né tantomeno giustifica la continua assenza di ponderazione nell’uso delle parole, soprattutto quelle riguardanti l’altro genere.
Sembra di fare un tuffo indietro di venticinque secoli quando si ascoltano affermazioni come “non ti sc*po solo perché sono in arresto, tu vali un c*zzo ma io non ho prezzo” (Ramen Girl). Perfettamente in armonia con il pensiero di Aristotele, che considerava la femmina un “maschio mancato”, argomentando con dettagliati sillogismi che le donne sono “per natura più deboli […] e si deve supporre che la natura femminile sia al pari di una menomazione”.
Ancor più grave è la persistente cultura della “donna oggetto sessuale” di cui sembrano quasi promotrici affermazioni come: “le tue amiche mi s*cchiano il c*zzo”, “parlo solo di droga e p*ttane”, “tu me lo s*cchi, lo sanno già tutti” (in “7 Miliardi”). L’oggettivazione sessuale femminile è una forma di deumanizzazione che contribuisce e alimenta ineguaglianza tra generi e la diffusione di comportamenti sessisti. Il dubbio che a questo punto sorge spontanea è: “quella di Massimo Pericolo è misoginia o semplice ignoranza?” Prima di cercare di rispondere a questa domanda anche fin troppo delicata, è bene avere chiaro il concetto di ignoranza.
Misoginia o ignoranza in Massimo Pericolo?
Nell’immaginario globale un ignorante è chi dice di non sapere, ma in realtà oggi l’ignorante è quello che non sa una cosa ma spiega a chi la sa. È merito di italiani come Massimo Pericolo se l’Italia si è aggiudicata l’ultimo posto in Europa per percentuale di popolazione dai 25 ai 64 anni con in mano almeno una laurea. L’unico paese in cui i laureati sono meno del 20% della popolazione, dietro Grecia e Romania. Alessandro ha però le idee ben chiare riguardo a questo argomento ed è consapevole del suo totale disinteresse verso la cultura: “ f*nc*lo la scuola, mi fumo la droga” (7 Miliardi).
A mio parere la mancanza di istruzione ha influito negativamente non solo sul bagaglio culturale che Massimo Pericolo non può e mai potrà vantare di avere, ma anche e soprattutto sulla mal riposta attenzione per quanto riguarda la scelta di molte parole. L’unica frase riguardante una donna realmente conforme al pensiero dell’artista è: “ma se non piaccio a lei non piaccio a me” (Ramen Girl).
Come direbbe Gadamer, “la cultura è l’unico bene dell‘umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande”. Sfortunatamente però la società di massa non vuole cultura, ma svago ed è ciò che Massimo Pericolo ha sempre ricercato. Recentemente Alessandro ha dichiarato di soffrire di depressione: “sono sicuramente più sereno perché non ho più l’acqua alla gola, ma la depressione dipende dai traumi passati e dalla genetica”, questa è un’altra dimostrazione del fatto che non si tratti di misoginia: la droga, che ha caratterizzato la vita di Massimo Pericolo, non è altro che un surrogato. E più precisamente un surrogato della cultura, la sola ed unica fonte di salvezza che potrebbe dare ad Alessandro la tanto desiderata redenzione e che potrebbe salvarlo dalla disperazione.
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