Pensavamo che esistessero i confini. Pensavamo che nel mondo si potessero costruire barriere e steccati capaci di spaccare il nostro cosmo. E invece la natura ci ha insegnato qualcosa di diverso e ha costretto a riconoscerci parte di una stessa universalità. Quei muri che abbiamo cercato di alzare sono stati infranti da qualcosa che non ha corpo ma che uccide il corpo, che è arrivato velocemente nella nostra vita, che gira attorno a noi e che noi temiamo perché non conosciamo. Perché non possiamo controllare e perché ci rende fragili e soprattutto impotenti.
Cosa fare? Come comportarci? A chi credere? Alla teoria complottista per cui il coronavirus sarebbe stato generato in laboratorio dalla Cina al fine di incrementare la produzione di armi batteriologiche? A chi accusa il “povero” Bill Gates di aver pagato un istituto di ricerca per creare un virus, brevettarne il vaccino e così trarre profitto dalla situazione di difficoltà? O al vescovo Carlo Maria Viganò, secondo cui il coronavirus sarebbe “il frutto di una punizione divina per pratiche quali aborto, eutanasia e matrimoni omosessuali”? Secondo il sopraddetto Monsignor, il virus, “come tutte le malattie e la stessa morte, non è altro che una conseguenza del Peccato Originale”.
Una marea di voci quindi ci sommergono e ci rendono ancora più indifesi. Ma quello che possiamo fare è affrontare tutto con alcune consapevolezze, tra cui quella magicamente espressa dalle parole dell’omelia di Papa Francesco secondo cui dopo esserci perduti e nel sentirci perduti e soli in una “tempesta inaspettata e furiosa”, come i discepoli del Vangelo, “ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”. E questo bisogno di “confrontarci” e “confortarci” a vicenda abbatte tutte le frontiere, ci rende tutti uguali ma nello stesso tempo tutti capaci nella nostra diversità a esserci di supporto, gli uni agli altri.
Forse, stiamo prendendo consapevolezza del nostro ‘essere uomini’ e di come la fragilità e l’impotenza siano parte della natura umana. E se, nell’angoscia, ci troviamo a sussurrare “Dio, perché mi hai abbandonato?”, ricordiamoci come proprio questa è la frase che meglio rivela l’umanità di Cristo, e quindi anche la nostra.