Nel maggio del 1967, sul settimanale L’Espresso, venne pubblicata un’inchiesta giornalistica realizzata da Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi, dal titolo: “Finalmente la verità sul Sifar: 14 luglio 1964, complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo prepararono il colpo di Stato”. Il pezzo scosse molto l’opinione pubblica e gli ambienti politici.
Ma di cosa trattava quell’articolo? Per capire cosa fosse successo dobbiamo prima conoscere il contesto storico: era il 1964 e Aldo Moro era a capo, per la prima volta nella Repubblica, di una coalizione di partiti di sinistra che comprendeva la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista Italiano, il Partito Socialdemocratico e il Partito Repubblicano.
Il contesto storico
Il 26 giugno si verificò una crisi di governo causata dalle richieste del PSI, considerate troppo riformistiche dai conservatori della Democrazia Cristiana; queste riforme riguardavano la nazionalizzazione dell’energia elettrica, una nuova legge urbanistica, una ritenuta d’acconto sugli utili delle grandi aziende e lo stop alle sovvenzioni per la scuola privata.
Il 3 luglio Moro rassegnò le dimissioni al presidente della Repubblica Antonio Segni; a quel punto si presentavano tre possibili soluzioni. La prima prevedeva l’anticipazione delle elezioni, che sarebbero state sfavorevoli per la DC; la seconda spingeva per la creazione di un nuovo governo, a guida Moro, che escludesse la corrente progressista del Partito Socialista e infine, la terza opzione, avrebbe affidato la guida dell’esecutivo al presidente del Senato Cesare Merzagora, che avrebbe dovuto guidare un governo di “emergenza nazionale”.
Dopo alcuni giorni di frenetiche trattative, Segni affidò la creazione del nuovo governo a Moro, con la promessa dell’esclusione del Partito Socialista. Pietro Nenni, segretario del PSI, proferì allora la storica esclamazione: “tintinnar di sciabole”. Si riferiva esplicitamente alle pressioni, su un possibile golpe dei Carabinieri, fatte al Capo dello Stato se non avesse escluso i socialisti dal Governo.
Giovanni De Lorenzo, dopo aver ricoperto la carica di direttore del Sifar, il Servizio di informazioni delle forze armate, attivo dal ’49 al ‘66, nel ’62 era stato nominato comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. De Lorenzo, quando era ancora al Sifar, si teneva in stretto contatto con l’ambasciatrice americana in Italia Clare Boothe Luce e la CIA e aveva iniziato un attività di dossieraggio che contava più di 157.000 cartelle su politici e industriali e figure religiose, irrilevanti per la pubblica sicurezza, ma importanti per essere utilizzate come strumento di ricatto.
Il piano “Solo”
La sera del 13 luglio il Presidente Segni aveva ricevuto il generale De Lorenzo, il quale aveva presentato un piano d’azione denominato “Solo”, perché doveva essere effettuato solamente dai carabinieri.
Il Piano Solo, che avrebbe dovuto compiersi all’alba del 14 luglio tramite il dispiegamento di mezzi blindati e di diverse divisioni mobili stanziate a Roma, prevedeva l’arresto e la deportazione in una base in Sardegna di sindacalisti, politici di sinistra, intellettuali come Pier Paolo Pasolini e il critico d’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli, nonché l’occupazione della Prefettura di Roma, della sede della Rai, del Ministero dell’Interno e di varie redazioni dei giornali.
Tre giorni dopo la data X nacque il secondo governo Moro: di centrosinistra, basato su un programma più esiguo. Alcuni giorni dopo, la sera del 7 agosto, ormai risolta la crisi politica e il possibile golpe, il presidente del Consiglio Aldo Moro e il neo ministro degli Esteri, il socialista Giuseppe Saragat, furono ricevuti dal presidente della Repubblica.
Le indagini sul piano “Solo”
Qui a seguito di un’accesa discussione, tra Moro e Seragat per la nomina in un consolato, Segni fu colpito da un ictus e costretto alle dimissioni. Il nuovo presidente diventò proprio Seragat. Il 14 maggio del ’67 venne pubblicato l’articolo. L’allora ministro della Difesa Travellini istituì una commissione d’inchiesta, presieduta dal generale Beolchini, che aveva il compito di indagare sulle attività di dossieraggio del Sifar sotto la direzione di De Lorenzo.
Vennero istituite altre due commissioni d’inchiesta: una interna dei carabinieri e una della Camera dei Deputati. Le conclusioni delle prime due inchieste furono per anni coperte dal segreto di Stato. I loro contenuti furono rilevati solamente nel 1990, dopo l’esplosione del caso Gladio. Dalla desecretazione degli atti inerenti gli anni 1964 e 1967 emerse che vi furono numerosi contatti, durante il ’64, tra De Lorenzo, alti ufficiali dei carabinieri, funzionari dei servizi segreti, diversi rappresentanti dell’ambasciata statunitense e i due capi centro della CIA in Italia: Thomas Karmassines e William Harvey.
Dai documenti emerse che la CIA era contraria al colpo di Stato: per loro era sufficiente che fossero isolati dal nuovo governo il Partito Comunista e gli esponenti più radicali del Partito Socialista, cosa che poi avvenne. Dopo l’uscita dell’articolo, De Lorenzo, che nel ’65 era diventato capo di stato maggiore dell’Esercito, fu destituito dal Consiglio dei Ministri.
Scalfari e Jannuzzi vennero querelati da De Lorenzo con l’accusa di diffamazione a mezzo stampa e i due giornalisti furono condannati rispettivamente a 14 e 15 mesi di reclusione. Scalfari e Jannuzzi evitarono comunque il carcere grazie all’immunità parlamentare offertagli dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, mentre Jannuzzi divenne senatore. La pubblicazione dell’inchiesta giornalistica portò alla luce le vicende del cosiddetto “bimestre nero” e i connotati di un golpe incompiuto, ma comunque innegabile.