Spesso capita sui social network di venire a contatto con delle notizie a dir poco singolari. Tra queste, ultimamente ha colpito l’opinione pubblica la notizia di una donna di sessant’anni che, mentre subiva un’operazione al cervello, era intenta a preparare delle olive ascolane. Di sicuro crea molto stupore una notizia di questo tipo, soprattutto perché nel nostro immaginario un’operazione così complessa deve essere svolta con il paziente addormentato in anestesia generale. Eppure non è così, questa pratica si chiama Awake Brain Surgery (ABS) e negli ultimi anni ha preso sempre più piede nel campo della rimozione dei tumori cerebrali. Come è possibile? Come funziona? Ma soprattutto, qual è la sua utilità?
La pratica dell’operazione
Senza inoltrarsi in inutili tecnicismi, basta sapere che questo tipo di operazione viene svolta da un’equipe formata da neurochirughi, infermieri, anestesisti, un neuropsicologo e un tecnico di neurofisiologia. Il paziente, inizialmente addormentato, viene sottoposto ad un’anestesia locale atta a rendere insensibile la zona dove verrà svolta la craniotomia, cioè la procedura necessaria a consentire l’accesso al cervello. A questo punto, grazie alla collaborazione tra i neurochirurghi e gli anestesisti, il paziente viene fatto svegliare prima di procedere alla rimozione del tessuto tumorale, e gli viene chiesto dal neuropsicologo di svolgere diversi compiti in modo tale da permettere il monitoraggio cognitivo. Questi compiti sono diversi, e tra questi vi possono essere quello di suonare uno strumento musicale o – perché no? – preparare delle olive all’ascolana!
Un po’ di neuroscienze
Studiare il cervello è tanto complesso quanto affascinante. Il sistema nervoso, infatti, data la sua estrema complessità, può essere studiato da più punti di vista: per fare un esempio, è compito dei neurobiologi studiare il cervello dal punto di vista biologico e strutturale.
È interessante però notare che il cervello può essere anche studiato dal punto di vista funzionale, e questo tipo di studi viene condotto dai neuroscienziati cognitivi. Le neuroscienze cognitive, infatti, si propongono di scoprire la connessione che vi è tra le scoperte psicologiche sul nostro sistema cognitivo e i correlati neurali sottostanti a queste funzioni. Detto così può sembrare complesso, ma non è nient’altro se non cercare la congiunzione tra psicologia e neuroscienze, tra mente e cervello.
Come si studiano gli aspetti funzionali del nostro sistema nervoso? Le metodologie sono tante, e non è questo l’articolo adatto per rispondere pienamente a questa domanda. Tuttavia, è importante citare lo studioso che ha dato il via a questa pratica dando inizio alla branca della neuropsicologia: Paul Broca. Broca, infatti, notò alla fine dell’800 che degli individui presentavano “la scomparsa della parola” nonostante non fossero né “paralizzati” né “stolti”. Si concentrò su dei pazienti che presentavano questo deficit del linguaggio, affetti quindi da un disturbo che viene definito “afasia”.
Il metodo Broca per le operazioni al cervello
La metodica di Broca era semplice e rivoluzionaria per i metodi dell’epoca, in seguito alla morte di queste persone svolgeva sul loro cervello un esame autoptico, e grazie alle sue ricerche si scoprì che tutti questi pazienti avevano in comune delle lesioni a livello dell’emisfero sinistro, in sede fronto-temporale. Si determinò quindi quella che oggi è definita “area di Broca” o area 44 di Brodmann, situata nel piede della terza circonvoluzione frontale sinistra. Ma soprattutto, cosa ancora più importante, si determinò un metodo: se in seguito a una lesione di una determinata area cerebrale (l’area di Broca) si presenta un deficit di una funzione cognitiva (incapacità di parlare, o afasia di produzione), allora è lecito pensare che quella funzione è rappresentata cerebralmente da quell’area che ora è danneggiata.
Al giorno d’oggi, come detto in precedenza, abbiamo tanti altri metodi per studiare i correlati funzionali del cervello, tuttavia quest’inferenza fondamentale è ancora alla base della neuropsicologia e dello studio di pazienti con lesioni cerebrali.
Perché è necessario specificare tutto questo? Perché è funzionale a far comprendere che il nostro cervello non è equipotenziale: è composto da diverse aree e diversi network, e se noi riusciamo ad avere un’esperienza qualitativa della nostra vita quale quella che abbiamo, riusciamo a farlo in virtù di molteplici attivazioni di aree diverse. Anche grazie a questa caratteristica è non solo possibile, ma anche utile svolgere un’operazione di ABS.
Perché è utile tenere sveglio il paziente durante un’operazione al cervello?
Ora non ci resta che spiegare perché è così utile tenere sveglio un paziente durante un’operazione al cervello. Che utilità ha far preparare ad una persona le olive ascolane o far suonare un musicista in sala chirurgica? La ragione è abbastanza semplice: questi compiti sono complessi e richiedono al paziente una certa precisione nei movimenti, e sono molto utili per guidare la mano del chirurgo: ad esempio, qualora il paziente cominciasse ad avere un calo delle performance, si potrebbe decidere di essere più “conservativi” e di salvare parte dell’area cerebrale sottostante il tumore. Questo tipo di operazione è un passo avanti rispetto alla modalità precedente, che prevedeva una rimozione tumorale (e, di conseguenza, di tessuto cerebrale) svolta “alla cieca”, le cui conseguenze si sarebbero conosciute solo al momento del risveglio del paziente al di fuori del contesto della sala chirurgica.
Riprendendo l’esempio dell’area di Broca, qualora vi fosse un tumore cerebrale da rimuovere in zona pronto-temporale, potrebbe essere utile ad esempio chiedere al paziente di contare durante la sua rimozione, in modo tale da monitorare in vivo le conseguenze sul sistema cognitivo di chi subisce l’operazione. Avere questa possibilità di monitorare le funzioni di mente e corpo del paziente consente una maggior precisione nell’operazione. Oltre a ciò, un intervento svolto sotto anestesia locale permette un recupero più veloce da parte del paziente.