Parlare di Colleferro, oggi, sembra doveroso. Non c’è trasmissione televisiva, giornale, sito, che non ne parli. E questa è una fortuna, perché solo fatti del genere possono scuotere un’Italia da 75 anni troppo accondiscendente con quei reflussi fascisti ancora non eliminati.
Ai quattro omicidi, per ora, non è contestata l’aggravante dell’odio razziale. Anzi, loro dichiarano addirittura di non aver fatto niente, di essere intervenuti per sedare una rissa. La giustizia farà il suo corso, ma, al contrario di quanto si sente in giro, non sono rilevanti le pene – eventuali – che verranno contestate ai quattro delinquenti. Il loro periodo di permanenza in carcere deve contare per loro e per il casellario giudiziario – e per la famiglia di Willy, se interessata. Non per la comunità italiana.
Un’Italia che si concentra sulla sentenza del giudice è un’Italia che cerca vendetta, non un’Italia che affronta il problema. La retorica di questi giorni, immancabile, non cerca minimamente di analizzare il disagio sociale che porta quattro persone a diventare quello che sono diventati i quattro assassini. Se quegli stessi soggetti fossero nati in casa Severgnini, ora sarebbero anche loro dalla Gruber a parlare di quanto siano disgustosi uomini che uccidono – con queste modalità, per di più. Se Severgnini fosse cresciuto nel loro stesso contesto, oggi non sarebbe così diverso da loro.
Un’Italia matura si renderebbe conto dei contesti di certe periferie, specialmente nel Lazio. L’Italia di oggi li liquida come quattro casi eccezionali, quattro delinquenti usciti da non si sa dove. Un’Italia seria non lascerebbe i poveri in mano alla criminalità, in mano all’identità data dall’estrema destra. L’Italia di oggi se la prende con gli sport di combattimento.
Mentre scrivo queste parole, di getto, sono connesso su La7, dove si parla dei fatti di Colleferro. A Otto e mezzo sono ospiti Galli, professore universitario e primario, Severgnini, vicedirettore del Corriere della Sera e figlio di un notaio. E poi c’è Diego Bianchi, detto Zoro, uno che ha masticato parecchia periferia. Pertanto, l’unico legittimato a parlare di un problema che conosce, che ha visto. A differenza di Galli e Severgnini, che hanno sempre vissuto in certi contesti.
Sia chiaro, non è una colpa di Galli e Severgnini. La colpa è di una certa cultura borghese, che mette gli esperti a parlare senza contraddittorio, senza qualcuno che conosca davvero il problema. Senza trovare soluzioni, ma accontentandosi della mera retorica.