Il 20 e 21 settembre si voterà per il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari di Camera e Senato.
Chi vota “sì” sostiene il taglio, chiede che la riforma sia confermata e che entri in vigore. Chi vota “no” ne chiede invece l’abrogazione.
Essendo un referendum costituzionale non è presente un quorum: si conteranno cioè i voti validamente espressi a prescindere dal fatto che vi abbiano partecipato o meno la maggioranza degli aventi diritto.
La riforma costituzionale era stata approvata a ottobre del 2019, con il voto favorevole di quasi tutti i partiti. La legge sarebbe dovuta entrare in vigore a gennaio, ma 71 senatori di vari partiti avevano firmato per indire un referendum; questo si sarebbe dovuto svolgere lo scorso 29 marzo, ma causa Covid-19 era stato rimandato.
Cosa prevede la riforma
La riforma prevede la riduzione dei seggi alla Camera da 630 a 400 e quelli al Senato da 315 a 200 pari ad un calo del 36,5%. Con questa riforma si ridurranno anche i parlamentari eletti all’estero: da 12 a 8 per la Camera e da 6 a 4 per il Senato. Verrà inoltre stabilito un tetto massimo di non più di 5 senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica.
Questa riduzione di circa un terzo farebbe passare la rappresentanza da 96mila abitanti per deputato a 151mila. Oggi l’Italia ha un numero di parlamentari per numero di abitanti simile a quello dei grandi paesi europei; dopo la riforma diventerebbe invece uno dei paesi con il più basso livello di rappresentanza politica in rapporto alla popolazione dell’intera Unione Europea.
Le argomentazioni
Il dibattito è aperto e ci sono trattazioni da entrambe le parti.
Le argomentazioni a favore del “Sì” hanno a che fare principalmente con la riduzione dei costi della politica in quanto sarebbe previsto un risparmio di 100 milioni di euro all’anno, ma torneremo su questa cifra. Oltre a questo chi ha presentato la riforma sostiene che il taglio renderebbe il parlamento più efficiente, migliorando il rapporto tra cittadino e istituzioni ed eliminando la
frammentazione in vari gruppi parlamentari. Un altro ragionamento a favore del “Sì” riguarda la non più esclusività del parlamento nel produrre norme: poiché anche le regioni hanno potere legislativo, il numero dei parlamentari era stato dunque pensato in chiave monopolistica, ma non essendo più così il taglio sarebbe un naturale aggiustamento. Infine la riduzione dei parlamentari sarebbe solo un punto di partenza per procedere poi ad altre riforme che migliorino il funzionamento delle istituzioni.
Il taglio del numero dei parlamentari è stato invece molto criticato e argomentato da diversi esperti e giuristi, secondo i quali non porterebbe solo a una semplice riduzione numerica, ma sarebbe necessaria una riforma più ampia per consentire alla riduzione di essere veramente efficiente.
Il problema principale della riduzione sarebbe la distorsione del rapporto tra rappresentanti e rappresentati: Lorenzo Cuocolo, professore di Diritto costituzionale comparato ed europeo all’Università di Genova, ha spiegato che il Senato deve essere eletto su base regionale, è dunque evidente che le regioni più piccole avranno difficoltà ad essere rappresentate sia da esponenti della maggioranza che delle minoranze, favorendo così i territori più popolosi.
Ecco un confronto del numero dei parlamentari attualmente eletti in ciascuna circoscrizione e quelli che verranno eletti con la riforma.
Camera (numero attuale, numero futuro, variazione percentuale):
Piemonte 1: 23, 15, -34,8%. Piemonte 2: 22, 14, -36,4%.
Lombardia 1 : 40, 25, -37,5%. Lombardia 2 : 22, 14, -36,4%. Lombardia 3 : 23, 14, -39,1%. Lombardia 4 : 17, 11, -35,3%.
Veneto 1: 20, 13, -35,0%. Veneto 2: 30, 19, -36,7%
Friuli Venezia Giulia : 13, 8, -38,5%
Liguria : 16, 10, -37,5%
Emilia-Romagna : 45, 29, -35,6%
Toscana : 38, 24, -36,8%
Umbria : 9, 6, -33,3%
Marche : 16, 10, -37,5%
Lazio 1 : 38, 24, -36,8%. Lazio 2: 20, 12, -40,0%
Abruzzo : 14, 9, -35,7%
Molise : 3, 2, -33,3%
Campania 1 : 32, 20, -37,5%. Campania 2 : 28, 18, -35,7%
Puglia : 42, 27, -35,7%
Basilicata : 6, 4, -33,3%
Calabria : 20, 13, -35,0%
Sicilia 1 : 25, 15, -40,0%. Sicilia 2 : 27, 17, -37,0%
Sardegna : 17, 11, -35,3%
Valle d’ Aosta : 1, 1, 0,0%
Trentino-Alto Adige : 11, 7, -36,4% Estero : 12, 8, -33,3%.
Senato (numero.attuale, numero futuro, variazione percentuale):
Piemonte : 22 14 -36,4%
Valle d’Aosta : 1, 1, 0,0%
Lombardia : 49, 31, -36,7%
Trentino-Alto Adige : 7, 3+3, -14,3%
Veneto : 24, 16, -33,3%
Friuli Venezia Giulia : 7, 4, -42,9%
Liguria : 8, 5, -37,5%
Emilia-Romagna : 22, 14, -36,4%
Toscana : 18, 12, -33,3%
Umbria : 7, 3, -57,1%
Marche : 8, 5, -37,5%
Lazio : 28, 18, -35,7%
Abruzzo : 7, 4, -42,9%
Molise : 2, 2, -0,0%
Campania : 29, 18, -37,9%
Puglia : 20, 13, -35,0%
Basilicata : 7, 3, -57,1%
Calabria : 10, 6, -40,0%
Sicilia : 25, 16, -36,0%
Sardegna : 8, 5, -37,5%
Estero : 6, 4, -33,3%.
Come si vede dai numeri le regioni piccole e medio piccole sono quelle più penalizzate. Oltre a questo, si pone, come detto prima, un problema di rappresentanza in generale poiché aumenterebbe di molto il rapporto tra numero di abitanti e numero di parlamentari. I gruppi parlamentari diventerebbero quindi più piccoli e più facilmente controllabili da leader e segretari di partito, creando un nuovo equilibrio tra i poteri dello stato che rischierebbe di allontanare ulteriormente l’elettorato dalla politica.
Concludendo per i sostenitori del “No” l’argomento economico non regge per due motivi: secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cotterelli il risparmio non sarebbe di 100, ma di 57 milioni all’anno, pari allo 0,007% della spesa pubblica italiana, l’equivalente di un caffè all’anno per ciascun italiano.
Il secondo punto si può riassumere nella frase “la democrazia non ha prezzo”. Se la logica è quella del risparmio in futuro qualcuno potrebbe comunque proporre di spendere meno a discapito di qualcosa che diamo per scontato, ma che non lo è.