Il fenomeno della resistenza agli antibiotici è diventato ormai un grosso problema di sanità pubblica, e le cause sono molteplici e complesse. Innanzitutto va ricordato che questi farmaci dal potente effetto anti-batterico vennero scoperti in maniera incidentale nella prima metà del secolo scorso, più precisamente nel 1932 da Alexander Fleming. La scoperta della penicillina rivoluzionò la medicina, permettendo la cura di malattie fino ad allora potenzialmente mortali tra le quali ricordiamo dissenteria, polmoniti, meningiti e setticemie che causarono milioni di morti soprattutto durante la Prima Guerra Mondiale. Da allora, molti altri antibiotici vennero identificati e sperimentati tanto che oggi allarma la diffusa resistenza di alcuni ceppi batterici agli stessi.
Quali sono le cause di questo nuovo e preoccupante fenomeno? E come mai l’Italia sembra ancora una volta essere nella top list dei Paesi con performance peggiori?
Le cause sono molteplici e complesse; innanzitutto, spesso viene fatto cattivo uso di questi farmaci assumendoli senza prescrizione medica e abusandone. Bisogna ricordare, infatti, che questi sono efficaci in caso di infezioni causate da batteri mentre risultano inutili nel caso in cui la malattia abbia altre origini come quella virale. Secondo l’AIFA, Agenzia italiana del farmaco, il 75% viene acquistato in farmacia su prescrizione dei medici di base e dei pediatri, 9% è utilizzato negli ospedali per ridurre il rischio di infezioni, mentre il 16% viene acquistato privatamente e nel 30% dei casi risulta inutile. Ridurre l’utilizzo di antibiotici sembra quindi essere una possibile soluzione per ovviare a questo problema, ma vanno allo stesso tempo implementati i fondi alla ricerca (dal 2017 ad oggi scoperti solo due nuovi farmaci antibiotici).
Un’ulteriore causa, anche questa estremamente importante, sono gli allevamenti intensivi che si caratterizzano per un’altissima densità di animali per metro quadro, cosa che facilita la diffusione di infezioni e rende difficile l’identificazione del singolo animale malato. Per prevenire tale diffusione dagli anni ‘40 vengono somministrati antibiotici su larga scala che inevitabilmente arrivano sulla nostra tavola sotto forma di cibo o si disperdono nell’ambiente tramite liquami, garantendo inoltre l’enorme accumulazione di profitti da parte degli allevatori e riducendo ogni scrupolo riguardo il trattamento degli animali. Secondo un rapporto dell’EMA, l’Agenzia europea del farmaco, l’Italia è seconda solo a Cipro per acquisto di antibiotici destinati a tale scopo ed il tasso di impiego degli stessi raddoppia la media europea. Se gli allevamenti intensivi, tutt’oggi in crescita, soppianteranno gli allevamenti tradizionali, questo problema è destinato a crescere ulteriormente; da qui la necessità di sensibilizzare riguardo il consumo responsabile di carne e derivati, preferendo prodotti biologici o provenienti da piccoli allevamenti.
E gli ospedali?
Purtroppo, l’ospedale è un luogo nel quale non è difficile contrarre infezioni, specialmente in Italia dove l’utilizzo di disinfettanti è estremamente basso rispetto agli altri Paesi UE ed i protocolli igienici non vengono pienamente rispettati. I pazienti vengono quindi spesso sottoposti a terapia antibiotica durante o a seguito della propria permanenza in ospedale, contribuendo ad aumentare il fenomeno dell’antibiotico resistenza.
Il 2 novembre 2017 è stato approvato in Italia il Piano Nazionale di contrasto all’antimicrobico-resistenza sulla base del piano di azione globale dell’OMS approvato nel 2015, bloccato però dall’avvento del Covid-19.