Vi ho già raccontato del nostro arrivo in Serbia. E di come abbiamo rischiato di morire su un taxi.
Ora, immaginate le nostre condizioni la mattina dopo quel viaggio in taxi. Tra lo shock e le ore piccole, la mattina dopo eravamo abbastanza in coma. Siamo scesi a far colazione. Le ragazze erano ancora sopra, mentre io, con gli altri sette ragazzi, stavamo mangiando intorno al tavolo.
Vi descrivo la casa. Due piani, con le camere sopra e cucina+salotto sotto. Un piccolo cortiletto sul retro, con una grande porta-finestra vetrata che collegava con la cucina. Al cortile si poteva accedere anche dalla parte anteriore della casa, e quindi dalla casa, attraverso un mini corridoio che girava tutto attorno all’edificio. Nessuno con buone intenzioni l’avrebbe mai fatto.
Ecco spiegato il nostro stupore quando, la mattina dopo quel famoso viaggio in taxi, ci siamo trovati un uomo in canotta e jeans, con una valigetta, alla porta. Che ci guardava, senza parlare. Dopo qualche istante di stupore misto a perplessità, siamo andati ad aprire, chiedendo cosa volesse. In fondo, eravamo otto contro uno.
Lui inizia a parlarci in serbo. Rispondiamo in inglese. Non capisce. Continua a parlare in sebro. Non capiamo. Ci mostra un foglio scritto in serbo. Gli diciamo che non capiamo. Non capisce. Fruga nel portafogli. Tira fuori un documento. Ce lo mostra. Non capiamo. Glielo diciamo. Si mette a ridere. Continua a parlare in serbo. Qualcuno dei nostri va a chiamare la proprietaria. Lui continua a parlare da solo in serbo. Lei arriva – abitava nella casa a fianco. Si parlano. Lei ci dice in inglese che era il tecnico del gas. Doveva leggere il contatore. Lui va a leggere il contatore. Normale, insomma.
La fuga dalla Serbia
Dopo questo simpatico episodio, ultimo regalo di un Paese magnifico, ci siamo diretti alla stazione dei pullman. Era finalmente arrivato il giorno della partenza, direzione Zagabria. Si torna in Unione Europea. Arriviamo alla stazione con un’ora d’anticipo, per andare sul sicuro. Sulla strada, mentre cercavamo le indicazioni su Google, notiamo che la stazione ha tipo 2 stelle su 5. Ridiamo della cosa. Poveri ingenui.
La stazione è composta di due parti, senza alcun criterio apparente. Non riusciamo a trovare il luogo di partenza del nostro Flixbus. Proviamo a chiedere indicazioni, ma nessuno ci sa rispondere, un po’ perché non parlano inglese, un po’ perché non sembrano vivere sul nostro stesso pianeta. Alla fine decidiamo di andare nella parte in cui siamo arrivati.
A 2 minuti dall’orario di partenza del nostro bus, sentendo che due ragazzi vicino a noi parlavano inglese, decidiamo di chiedere loro qualche info. Ci spiegano che l’autobus sarebbe partito dall’altra parte. Ci mettiamo a correre disperatamente, con gli zaini e le valigie.
GIungiamo all’ingresso di quella sezione della stazione e troviamo dei tornelli. Proviamo a passare esibendo i nostri biglietti a un poliziotto lì presente. Questi ci guarda e ci dice: “No”. Chiediamo spiegazioni. “No”. Vediamo l’autobus partire dietro di lui.
Piano B: come sfuggire a un sequestro in Serbia
Ci rechiamo alle casse, dove troviamo un autobus per Zagabria quattro ore dopo, a un prezzo accettabile. La ragazza che ci vende i biglietti ci spiega che per entrare nella stazione serve un gettone o bisogna pagare due euro – sì, anche se là non usano l’euro. Tutto questo non ci era stato spiegato da nessuno. Abbiamo capito il perché delle due stelle sulle recensioni.
Riusciamo finalmente a partire, nel pomeriggio. Ma le brutte sorprese non erano ancora finite. Arrivati alla dogana per entrare in Unione Europea, troviamo una coda lunghissima. L’autista apre le porte e ci lascia scendere. Parlando con un’altra passeggera, capiamo che controllano tutti i pullman, per un tempo di circa 20/30 minuti a bus. Davanti a noi avevamo 18 pullman. Giuro. Rassegnati, iniziamo a giocare a calcio nel parcheggio lì vicino.
Dopo venti minuti, l’autista ci fa cenno di salire in fretta. Corriamo a bordo, lui chiude le porte e accende il motore. Senza alcuna ragione apparente, supera tutti gli altri bus e accede ai controlli. Basiti, non ci resta che profonderci in applausi scroscianti. Lui ringrazia.
Con questa chicca finale, si conclude la nostra esperienza serba. Divertente, senza dubbio. Formativa, anche. Diciamo che siamo contenti di essere ancora vivi.