Triste e dolorosa storia quella del “Seppellimento di Santa Lucia” di Caravaggio.
Triste perché il grande capolavoro di Michelangelo Merisi, uno dei tanti che il grande artista milanese e romano ha realizzato durante la sua travagliata carriera, è diventato disputa di una lunga querelle tra diversi enti pubblici e studiosi per il suo trasferimento o meno dalla Chiesa di Santa Lucia alla Badia, la chiesa tardo barocca situata nel cuore di Ortigia, al MART di Rovereto, da cui è stata richiesta per essere esposta nella mostra Caravaggio il contemporaneo organizzata dal museo trentino, presieduto da Vittorio Sgarbi.
Nonostante i numerosi pareri contrari, come quello del sindaco di Siracusa, Francesco Italia, dell’assessore alla Cultura, Fabio Granata e di Italia Nostra – associazione di salvaguardia dei beni culturali, artistici e naturali, nata a Roma nel 1955 – il Fondo Edifici di Culto (Fec) del Ministero dell’Interno, che è l’ente proprietario del dipinto, ha, dopo verifiche in loco, dato l’avallo allo spostamento della tela caravaggesca.
Prima di approdare alla sede del museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto e Trento, l’opera farà tappa a Roma, all’Istituto Centrale del Restauro, dove sarà oggetto di un necessario restauro, finanziato dalla Provincia di Trento (si parla di circa 350mila).
Così, l’opera perde il suo statuto aulico di “opera” per diventare un oggetto del mercato, un contenuto commerciale, una materia di contrattazione:
“noi finanziamo il restauro e la fornitura di una nuova teca (realizzata dall’azienda Goppion)” dice il Mart e Vittorio Sgarbi “e voi, siracusani, ci consegnate l’opera”.
E i siracusani non accettano, ma perché?
Perché considerano, nobilmente, il quadro come parte fondamentale del loro patrimonio storico-artistico, della loro tradizione ed eredità culturale e una delle tante tessere costituenti la ricca storia dell’Isola o perché l’opera è una delle attrazioni più importanti di Ortigia e la sua assenza in città lederebbe all’economia del turismo?
Lo storico dell’arte Paolo Giansiracusa, docente ordinario di storia dell’arte all’Università di Catania, sostenitore del fronte del “no”, dopo aver proposto di dichiarare il dipinto un bene inamovibile, si e ci interroga onestamente e nel far ciò usa una parola tristemente giusta ed appropriata: prostituzione.
“perché non è lo Stato, in questa fase, a pensare alla sua teca e ai suoi restauri? … non siamo gli ultimi pezzenti della terra, abbiamo le nostre risorse e certamente non dobbiamo far prostituire un dipinto per fargli guadagnare una teca o un restauro“.
Giovanni Cafeo, deputato regionale di Italia Viva, descrive il fatto come “palese ricatto economico, offesa per tutti i siciliani”.
Ma, oggi la tendenza è questa: la pluralizzazione delle mostre, che sono diventate ricettacolo di grandi capolavori, di popolari e altisonanti nomi di artisti, capaci di assicurare una grande affluenza di visitatori e di conseguenza considerevoli introiti e la parallela e drastica diminuzione di fondi per i musei.
Si annulla così la formazione didattica, la ricerca, il legame del museo con il territorio e la tradizione locale che dovrebbero essere il fondamento delle istituzioni museali.

Siracusa, Chiesa di Santa Lucia alla Badia.

Siracusa, Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro (o Fuori le Mura).
Ulteriore polemica riguarda il collocamento dell’opera al momento del suo rientro, previsto per il 13 dicembre, a Siracusa.
Se le condizioni climatiche e di sicurezza lo permetteranno, l’opera non farà ritorno nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia, nel centro siracusano, ma nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro (o Fuori le Mura), la chiesa della Borgata per cui il quadro fu concepito – il luogo dove secondo la tradizione la santa siracusana fu martirizzata e sepolta e che Caravaggio, probabilmente, raffigurò nella tela stessa – e da cui fu trasferita a causa dei problemi di umidità.
Al fine di favorire tale atteso rientro, l’assessorato ai Beni e alle Attività culturali del Comune di Siracusa ha lanciato la proposta di un “comitato Caravaggio al Borgo Santa Lucia” coinvolgente la Curia, la facoltà di Architettura, il liceo artistico Gagini, la Pro loco, la Biblioteca Santa Lucia, le guide turistiche e le associazioni culturali.
Ma soffermiamoci ora sulla lettura del quadro, secondo l’autorevole opinione di Roberto Longhi (1890-1970), il più antico fra quelli realizzati da Caravaggio in Sicilia, dove il pittore si rifugiò, accolto dall’amico Mario Minniti (1577-1640), pittore siracusano conosciuto da Caravaggio durante gli anni trascorsi a Roma, autore, tra l’altro, di una bellissima e drammatica tela raffigurante Il Martirio di Santa Lucia, conservata a Palazzo Bellomo, edificio del XIII-XIV secolo di fondazione catalana, ospitante il museo della città di Siracusa, in cui è possibile ammirare capolavori come l’Annunciazione di Antonello da Messina (1430-1479).

Il Martirio di Santa Lucia, M. Minniti. Palazzo Bellomo, Siracusa (SR), XVII sec.

L’Annunciazione, Antonello da Messina, 1474. Palazzo Bellomo, Siracusa.
Ritornando al nostro Caravaggio, la pala d’altare gli fu commissionata dal Senato di Siracusa nell’ottobre 1608 e fu da lui completata in due mesi per essere esposta per le celebrazioni del 13 dicembre 1608.
All’interno di un tetro ambiente – da identificare, secondo alcuni studiosi, come una delle catacombe sottostanti la chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, secondo altri come la più importante latomia della città, ubicata sotto il Teatro Greco di Siracusa, definita, seconda la tradizione, da Caravaggio stesso, che la visitò nel 1608 in compagnia dello storico siracusano Vincenzo Mirabella (1570-1624), l’Orecchio di Dioniso – in primo piano, due realistici becchini, con i piedi sporchi di operai, così simili ai due carnefici della Crocifissione di san Pietro, dipinto realizzato da Caravaggio tra il 1600 ed il 1601 per la Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma, sono impegnati nello scavare la fossa della sepoltura, mentre, in secondo piano, un gruppo di uomini e donne assistono addolorati al funerale al cospetto del vescovo che dà l’estrema unzione alla santa.
I loro dolenti sguardi sono rivolti alla Santa decapitata, il cui cadaverico volto ricorda quello livido ed esangue della Madonna nella grande Pala oggi al Louvre di Parigi.
Proprio il volto di questa giovane donna siciliana, vergine e martire, ci ricorda il legame del quadro con la città aretusea, dove la Santa è oggetto di devozione fin da fine quarto e inizio quinto secolo, come testimonia un’iscrizione greca, scoperta nel giugno del 1894 durante scavi archeologici del professor Paolo Orsi nella catacomba di San Giovanni, la più importante di Siracusa, in cui un marito siracusano ricorda la moglie Euschia, morta a 25 anni, nella festa della “sua” Santa Lucia.
La città, privata, nel 1040, delle spoglie della Santa, che, trafugate dal generale bizantino Giorgio Maniace e consegnate in dono all’imperatrice Teodora, nel 1204, saranno trasferite da Costantinopoli a Venezia come bottino di guerra a conclusione della Quarta Crociata, oggi teme di perdere il rapporto devozionale che da sempre la lega alla Santa, ma si rivela pronta nell’intraprendere un percorso di valorizzazione dell’opera in loco, mirando a fermare, in futuro, i trasporti che nuocciono alle opere, perché, come afferma Italia Nostra “Non sono le opere d’arte che devono viaggiare, ma le persone”.