Zygmunt Bauman ha detto: “Quando si evita ad ogni costo di ritrovarsi soli, si rinuncia all’opportunità di provare la solitudine. Quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare, riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione”.
Nella nostra società siamo soliti vedere la solitudine con occhio negativo, non la accettiamo, non la tolleriamo, forse perché l’uomo viene definito come un animale sociale, quindi viviamo in branchi e da soli non possiamo sopravvivere. Ci siamo mai chiesti però se ogni tanto magari un po’ di solitudine non faccia poi così male? Non è sicuramente una domanda che noi tutti ci poniamo frequentemente. Però secondo Baumant la solitudine non ci viene descritta come un qualcosa di tragico. A chi non sa se fidarsi dico provare per credere. In fondo la solitudine non è una delle catastrofi più terribili che un uomo può incontrare nel corso della sua vita. Uno deve solo fare l’abitudine alle occhiate che gli altri ti lanciano nel momento in cui preferisci essere un lupo solitario più che far parte del branco.
A parte questo a volte la solitudine non è molto d’aiuto e la situazione da sopportare potrebbe essere più difficile di quanto sembra. E’ proprio il caso di Massimo Pericolo, circondato da droga, alcool e puttane, convinto di avere tutto quando invece non ha niente e le sue canzoni ne sono la prova.
Da Ansia a Cocco, da Ramen girl ad Amici, gli argomenti sempre gli stessi, ma la solitudine che si avverte diventa sempre più forte.
“Corrono come se avessero il fuoco sotto il sedere in cerca di qualcosa che non si trova. Si tratta fondamentalmente della paura di affrontare se stessi, si tratta fondamentalmente della paura di essere soli. Invece a me fa paura la folla”. Sembra quasi che Bukowski conoscesse Massimo Pericolo. Con questa frase ha descritto chiaramente quello che il suo album lascia intendere: paura della folla, paura di quello che potrebbero fargli, delle delusioni che potrebbe nuovamente ricevere.
E questo ce lo dice lui chiaramente, dopo essere stato ingannato e ferito dai suoi amici, dalle persone che amava e dalla società stessa. Non si fida della folla, così preferisce vivere nella solitudine anche soffrendo. Ma il dolore che prova in questo modo non è minimamente paragonabile al tradimento di un amico o alla perdita di una persona cara.
Cocco è forse la canzone più significativa da questo punto di vista:
“L’amore fa più male dell’odio
L’amore fa più male del cocco
E la rivoglio da quando è finita”.
“Non ho più le parole
Per dirti le cose che ho dentro
E rimangono dentro di me”.
Da quest’ultima strofa sembra quasi che si sia arreso, abbia smesso di lottare per far vedere a tutti chi è veramente. Per cambiare le carte in tavola e che abbia preferito semplicemente adeguarsi alla massa. Indossare una maschera di ferro all’apparenza perfetta per il personaggio che interpreta, componendo canzoni e facendo vedere a tutti, anche a chi non c’è più o a chi se n’è andato via, che lui in realtà se la passa benissimo anche senza di loro, che è più forte di tutta la merda che lo circonda.
Ma non è così, anche se è una cosa che si nota solo analizzando con occhio critico il testo delle sue canzoni.
Giacomo Leopardi diceva che la solitudine è come una lente d’ingrandimento: se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo.
Non ci resta altro che pensare che Baumant, Bukowski e Leopardi ne hanno passate tante nel corso della loro vita e forse qualcosa da loro potremmo pure impararla, facciamo tesoro dei nostri errori e impariamo dagli sbagli degli altri.