In principio le partite a porte chiuse, poi lo stop definitivo a tutte le competizioni sportive di qualsiasi livello. L’Italia in primis, poi Francia e Spagna e infine l’Inghilterra seguita da tutte le competizioni Uefa. La decisione è unanime e fa lentamente il giro del mondo: non solo calcio, anche MotoGp e Formula 1 non partono nemmeno con la nuova e imminente stagione, poi il basket con la NBA fermata a ridosso dei Playoffs e per ultime le Olimpiadi di Tokyo. Finalmente anche lo sport si ferma. Dopo che si è provato a temporeggiare (troppo, visti i contagi evitabili anche in questo mondo) si chiudono i battenti.
Già, ma perché si è provato a temporeggiare? Come sempre il dio denaro appanna la vista di tutti i portatori d’interesse, però questa volta si è dovuto arrendere ai migliaia di appelli di coloro che avrebbero rischiato in prima linea, ovvero gli addetti ai lavori costretti a portare avanti il circo come se questa situazione non li sfiorasse nemmeno. “Money is the king” dice Lewis Hamilton prima del GP d’Australia, ma come è possibile che il denaro (anche se per poco) possa avere la meglio sulla pandemia? Facciamo due conti.
Partiamo, inevitabilmente, dalla Serie A nostrana, citando il numero uno del CONI Giovanni Malagò: “questo mondo ha smesso da tempo di essere solo uno sport trasformandosi in business”. Che lo si voglia o meno è proprio così, il mondo del pallone muove più dello 0,20% del PIL nazionale.
La sola massima serie, senza contare le altre leghe professionistiche italiane, muove un giro d’affari da attività direttamente collegate che supera i 3 miliardi l’anno, vale a dire più di 1 miliardo da diritti televisivi, quasi 800 milioni derivati da plusvalenze, più di 500 milioni in sponsor e oltre 300 da ricavi da stadio. A queste cifre vanno aggiunti gli ulteriori 3 miliardi di “Social Return on Investment” legati alle attività non direttamente collegate, cioè quelle derivanti dagli oltre 98 mila dipendenti addetti ai lavori, dagli investimenti infrastrutturali e via dicendo.
Fermare lo show costerebbe alla Lega oltre 700 milioni tra diritti tv, introiti da stadio e sponsor; di meno, circa 250 milioni, qualora la fine del campionato dovesse solamente slittare.
Ecco, pensiamo a queste cifre e sommiamole a quelle degli altri paesi.
Capitolo motori. Rinviare le prime 5 gare di Formula 1 è costato più di 100 milioni. Va da sé che prolungare la pausa comporterebbe altre perdite al Circus che in questo momento ha un valore di mercato che supera i 2 miliardi e che genera circa 750 milioni di introiti l’anno tra diritti televisivi, eventi e sponsor. Discorso simile anche per la MotoGp, cifre però proporzionate ad un business più “piccolo” della F1 (il motomondiale genera circa 400 milioni all’anno).
Concludiamo andando oltreoceano a vedere come se la passano la NBA e la NFL, le due leghe sportive più redditizie al mondo. Nel mondo del basket a stelle e strisce le 30 franchigie generano fatturati annui da circa 6 miliardi complessivi ai quali aggiungere i quasi 3 miliardi l’anno derivanti da diritti televisivi. Fermare il campionato ad un passo dai Playoffs (fasi finali) e chissà per quanto, porterà con sé perdite da oltre 500 milioni di BRI (Basketball-related Income, introiti da attività collegate).
Discorso leggermente diverso per la NFL. Il campionato non è ancora iniziato e pertanto sarà solo posticipato. Le uniche perdite per i team potrebbero essere collegate ai mancati introiti da stadio qualora le prime partite si dovessero giocare a porte chiuse. Nulla da temere per gli oltre 4 miliardi di ricavi da diritti televisivi (giusto per dare due numeri…).
Tutte cifre che sicuramente non hanno alcun senso di fronte a ciò che stiamo vivendo ma che ci aiutano ad avere un’idea dell’impatto che questa situazione sta avendo sul mondo dello sport, la cosa più importante tra le cose meno importanti.
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