Ogni anno sprechiamo 1/3 degli alimenti prodotti nel mondo. È Il dato allarmante che emerge dai report della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, e di altre istituzioni scientifiche.
Si butta via qualcosa di commestibile in ogni fase della filiera agroalimentare, ma ciò che sprechiamo oggi avrà importanti conseguenze sul futuro del nostro pianeta. Infatti, anche se per il momento abbiamo abbastanza risorse per nutrire tutta la popolazione della Terra, ne destiniamo comunque una buona parte alla spazzatura. Se mettiamo in relazione il costante aumento demografico con gli attuali ritmi di produzione e spreco di cibo, è facile capire che è a rischio la sicurezza alimentare di milioni di persone. Inoltre, in aggiunta a problematiche etiche e sociali, gli sprechi alimentari hanno un notevole impatto ambientale sulle risorse naturali e rappresentano una percentuale importante delle emissioni globali annue di CO2, andando ad incidere così sul cambiamento climatico in atto.
Vediamo nel dettaglio tutte le implicazioni di questa grave problematica.
Come si definisce lo spreco alimentare?
Quando parliamo di spreco di cibo, i termini utilizzati sono diversi e talvolta possono creare un po’ di confusione. La prima definizione di spreco indica qualsiasi sostanza commestibile destinata all’alimentazione umana che viene sprecata, persa, degradata prima della consumazione. Successivamente, la Fao ha distinto tra:
- “perdite alimentari” (food losses), ovvero la diminuzione in termini di quantità e qualità del cibo (inteso come tutti i prodotti edibili agricoli, forestali o marittimi) a causa di decisioni o azioni intraprese lungo la filiera agroalimentare, dalla produzione, passando per il raccolto, lo stoccaggio, fino al trasporto.
- “spreco alimentare” (food waste), cioè la diminuzione in termini di quantità e qualità del cibo dovuta a decisioni o azioni intraprese nell’ultimo tratto della filiera agroalimentare, ovvero nelle fasi di rivendita, somministrazione alimentare e consumo.
Dunque, se le perdite sono dovute a limiti logistici e infrastrutturali, lo spreco è causato soprattutto da fattori comportamentali. Nel linguaggio comune si utilizza però il termine generale “spreco alimentare” per indicare qualsiasi perdita di cibo in tutte le fasi della filiera, dal campo alla tavola.
Lo spreco è diverso tra Nord e Sud del mondo
Nonostante lo spreco di cibo sia un problema globale, le differenze tra le varie regioni del pianeta sono consistenti. Nei paesi in via di sviluppo infatti, responsabili del 44% dello spreco alimentare globale, la maggior parte delle perdite si concentra nelle prime fasi della filiera agroalimentare, soprattutto dopo la raccolta, a causa di condizioni climatiche estreme, tecnologie arretrate, inadeguate infrastrutture di trasporto e strumenti di stoccaggio e refrigerazione carenti. Nei paesi ricchi invece, il 40% dello spreco alimentare si concentra negli ultimi stadi della filiera, ovvero nelle fasi di distribuzione e consumo. È stato stimato inoltre che ogni anno i consumatori del Nord del mondo sprecano quasi la stessa quantità di cibo della produzione netta totale dei Paesi sub-sahariani. Lo spreco di cibo dunque, pur essendo un fenomeno globale, non fa che acuire le disuguaglianze socio-economiche già esistenti tra le diverse parti del mondo.
Cosa e quanto sprechiamo?
Secondo diversi studi del BCG Henderson Institute e di National Geographic, riportati sul sito di TooGoodToGo, ogni anno produciamo circa 4.678 milioni di tonnellate di cibo in tutto il mondo, ma ne sprechiamo un terzo, ovvero 1.555 milioni di tonnellate. I numeri diventano più chiari se consideriamo le diverse tipologie di alimenti. La categoria più penalizzata sul totale degli alimenti sprecati è quella della frutta e della verdura, che rappresenta il 42% del cibo buttato annualmente. I cereali rappresentano invece il 22% e il gruppo “radici e tuberi” il 18%. È interessante considerare anche quanto della produzione di ogni tipologia alimentare finisce nella spazzatura. Le percentuali sono altissime per radici e tuberi e frutta e verdura, di cui viene sprecato in entrambi i casi il 46% sulla quantità di cibo prodotto. Anche il pesce è penalizzato, con il 35% della produzione buttata. Di poco minore è lo spreco di cereali, attestato al 29%. Sprechiamo invece il 21% della carne e il 17% dei latticini.

Lo spreco alimentare per categorie, dal sito di TooGoodToGo
(https://toogoodtogo.it/it/movement/knowledge/che-cibo-si-spreca)
Come e perché si spreca il cibo?
Fenomeni generali
Negli ultimi decenni hanno influito significativamente sull’aumento degli sprechi alcuni cambiamenti globali, come l’urbanizzazione crescente, che ha allontanato i consumatori dai luoghi di produzione del cibo, creando una lunghissima filiera in cui cresce il rischio di sprechi e perdite in ogni stadio. Anche la globalizzazione del commercio e della grande distribuzione organizzata (GDO), che rendono necessari migliori standard di qualità e sicurezza alimentare per i consumatori e determinano un aumento dei volumi dei prodotti commercializzati hanno causato un aumento del cibo sprecato. Inoltre, la graduale crescita dei redditi della popolazione mondiale ha modificato la composizione della dieta alimentare, con un maggior consumo di carne, pesce e prodotti freschi ma più deperibili, come frutta e verdura.
Le diverse fasi della filiera agroalimentare
Sprechi e perdite alimentari sono però fenomeni complessi, che avvengono durante tutte le fasi della filiera agroalimentare e che coinvolgono diversi attori. Ad esempio, per quanto riguarda i prodotti agricoli, le perdite alimentari iniziano già durante la coltivazione e il raccolto, dove incidono soprattutto tempistiche inadeguate, fattori ambientali e diffusione di malattie e parassiti. Queste problematiche si verificano soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Invece, le criticità nella fase di lavorazione dei prodotti agricoli sono dovute ad inefficienze e malfunzionamenti tecnici. Anche il trasporto è fondamentale: per prevenire le perdite alimentari servono buone infrastrutture e una logistica commerciale efficiente. Nella fase di distribuzione e vendita invece le cause dello spreco sono legate alla limitata durata di conservazione dei prodotti, alla necessità di soddisfare gli standard estetici in termini di colore, forma e dimensioni e alla variabilità della domanda. Infatti, spesso i supermercati effettuano previsioni sbagliate sulla domanda di prodotti alimentari, le cui quantità si rivelano eccessive. In seguito, il cibo invenduto supera la data di scadenza e deve essere buttato.
Nei paesi in via di sviluppo, lo spreco alimentare domestico e nella ristorazione è quasi inesistente. Diversa è la situazione nei paesi ricchi, Italia compresa, dove molto cibo è sprecato nelle case dei consumatori. Lo spreco domestico si verifica soprattutto in seguito ad una scarsa pianificazione dei pasti e ad un conseguente acquisto eccessivo di alimenti, che non faranno in tempo ad essere cucinati prima della data di scadenza e verranno così buttati. Questo comportamento è spesso influenzato dalle confezioni troppo grandi, dalla confusione sulle etichette e da una scarsa attenzione alla conservazione domestica e al riutilizzo del cibo.
Perché lo spreco di cibo è un problema?
Lo spreco alimentare pone diverse criticità su più fronti, soprattutto per quanto riguarda l’eccessiva pressione sulle risorse del pianeta e le disuguaglianze nell’accesso ad una nutrizione adeguata.
L’impatto ambientale dello spreco alimentare
Il maggior utilizzo antropogenico della terra è proprio la produzione del cibo, il cui spreco però ha un impatto ambientale estremamente grave. Infatti, più cibo sprechiamo, più cibo abbiamo bisogno di produrre. La costante necessità di produzione alimentare determina una continua pressione sulle risorse naturali, sfruttate ben più del necessario, incidendo negativamente sull’impoverimento del suolo, lo sfruttamento delle risorse idriche, la diminuzione della biodiversità, l’utilizzo di combustibili fossili e l’aumento della deforestazione e di conseguenza anche sulle emissioni di CO2.
L’impoverimento dei suoli
Numerosi studi ci dicono he il 50% del suolo abitabile nel mondo è sfruttato a uso agricolo, ma circa il 30% di questo produce cibo che non verrà mai consumato, equivalente a circa 1,4 miliardi di ettari (un’area più grande della Cina e tre volte l’Europa). Inoltre, l’agricoltura è la causa principale di deforestazione nei Paesi tropicali e subtropicali, soprattutto per la domanda di carne di manzo, soia, legno e olio di palma e per l’agricoltura animale, ovvero la produzione di mangimi e foraggi per gli allevamenti. Tuttavia, se il consumo globale di prodotti animali rispettasse le reali esigenze nutrizionali, salveremmo dall’agricoltura un’area grande una volta e mezzo l’Europa. Secondo il report Fao del 2019 “The state of food and agriculture“, la produzione di carne e prodotti animali è responsabile del 62% dello sfruttamento dei suoli causato dagli sprechi alimentari, la produzione di cereali e legumi contribuisce al 28%, radici e tuberi al 18%, mentre frutta verdura solo al 2%.
Lo sfruttamento delle risorse idriche
Sprecando cibo, sprechiamo anche una risorsa fondamentale per il nostro pianeta come l’acqua. È stato stimato che la quantità di acqua annuale utilizzata per produrre cibo che verrà poi buttato è di 66 trilioni di galloni, cifra equivalente ad un quarto di tutta l’acqua impiegata nell’irrigazione. Inoltre, l’impronta idrica dello spreco alimentare è maggiore di quella di qualsiasi paese del mondo: l’acqua sprecata equivale infatti ad un’area di 250 kmq, pari al flusso annuale del fiume Volga, al triplo del volume del Lago di Ginevra o a 100 milioni di piscine olimpioniche.
I dati della Fao relativi allo sfruttamento delle risorse idriche ci dicono che è il gruppo dei cereali e legumi ad influire maggiormente sullo spreco di acqua (72%), seguito da frutta e verdura (14%), radici e tuberi (9%) e carne (6%).
Le emissioni di gas serra
Il sistema alimentare mondiale consuma circa il 30% di tutta l’energia disponibile sul pianeta, ma di questa, il 38% viene utilizzata per cibo sprecato. Inoltre, nella produzione di cibo è ancora elevato l’utilizzo di combustibili fossili soprattutto per la produzione di energia negli stabilimenti e per lo spostamento dei mezzi impiegati nelle diverse fasi della filiera. Insieme alla deforestazione, i combustibili contribuiscono all’emissione di CO2 nell’atmosfera. La filiera agroalimentare è inoltre responsabile anche dell’emissione di metano, a causa del continuo sfruttamento del suolo e della produzione di carne, di diossido di azoto dai fertilizzanti, e idrofluorocarburi tramite la refrigerazione.
Si è calcolato che se lo spreco alimentare fosse una nazione, sarebbe la terza con le più alte emissioni di gas serra. Ogni anno sprechiamo infatti 1,3 gigatonnellate di cibo commestibile, che equivale alle emissioni di 4,4 gigatonnellate di CO2 includendo lo sfruttamento del suolo, l’8% delle emissioni totali di gas serra. Questa percentuale è causata prevalentemente dalla produzione di cereali e legumi, responsabili del 66% di utilizzo dei combustibili fossili in relazione allo spreco, seguiti da radici e tuberi (17%), carne e prodotti animali (10%), frutta e verdura (7%).
Lo spreco economico
Sprecare cibo significa anche sprecare soldi, precedentemente investiti nella coltivazione, nella raccolta, nel trasporto, nel confezionamento, nella conservazione e nell’acquisto di alimenti che finiscono poi nella spazzatura. Per capire concretamente la dimensione del danno economico causato dallo spreco alimentare, è utile guardare la quantità di denaro perso annualmente: circa 1 trilione di dollari, che potrebbero però diventare 1 trilione e mezzo entro il 2030.
Spreco e sicurezza alimentare
Oltre a serie conseguenze ambientali, lo spreco di cibo pone diverse questioni etiche, prima fra tutte quella della sicurezza alimentare, ovvero la possibilità di garantire a tutta la popolazione del pianeta acqua ed alimenti necessari a soddisfare il fabbisogno energetico dell’organismo umano. Infatti, lo spreco alimentare riduce drasticamente la disponibilità di cibo su base globale e locale, causando difficoltà di accesso al cibo soprattutto per chi, nei paesi poveri, è coinvolto nelle fasi di raccolto e in quelle immediatamente successive ma anche per tutti i consumatori con un reddito basso. Lo spreco è inoltre responsabile dell’utilizzo massiccio e insostenibile delle risorse naturali da cui dipende la futura produzione di cibo.
Il rapporto Onu sulla sicurezza alimentare
Oggi produciamo cibo sufficiente a sfamare 10 miliardi di persone, ovvero gli abitanti della Terra di oggi e quelli previsti nel 2050. Nonostante teoricamente ci sia cibo a sufficienza per tutti, un terzo degli alimenti viene sprecato e una persona su otto soffre la fame.
Questo stridente contrasto emerge chiaramente dall’ultimo rapporto Onu sulla sicurezza alimentare “The State of Food Security”: nel 2019 quasi 690 milioni di abitanti del pianeta hanno sofferto la fame, 10 milioni in più del 2018 e 60 milioni in più rispetto a cinque anni fa. A questi numeri si devono poi aggiungere i due miliardi di persone che per l’aumento dei costi e la scarsa disponibilità di mezzi economici non hanno accesso ad una dieta nutriente e sana. I dati confermano una tendenza in aumento dei livelli di malnutrizione, invariabile dal 2014. Infatti, benché il tasso percentuale di denutrizione a livello globale non abbia subito negli anni grandi cambiamenti e si assesti all’8,9%, se si rapporta questo dato con il costante aumento demografico del pianeta, il numero assoluto di persone che soffrono la fame è in continua crescita.
Ci sono però forti disparità tra le regioni del mondo. Il maggior numero di affamati si trova in Asia, con 381 milioni di persone denutrite, ma il fenomeno ha un’incidenza maggiore in Africa, dove chi soffre la fame è il 19,1% della popolazione totale, nonostante le persone in questa condizione siano “solo” 250 milioni. Questo fenomeno non riguarda unicamente i paesi in via di sviluppo: anche nella benestante Europa infatti sono 33 milioni le persone che non possono permettersi un pasto ogni due giorni. La diffusione della pandemia da coronavirus peggiorerà la situazione: si stima infatti che entro la fine dell’anno ci saranno da 83 a 132 milioni di persone in più a soffrire di malnutrizione cronica.
Il problema dello spreco è quindi strettamente connesso al tema della sicurezza alimentare: sprechiamo sistematicamente le risorse che la Terra ci mette a disposizione, che risultano così insufficienti per tutti. Nel 2016, la Fao ha infatti calcolato che, se salvassimo anche solo un quarto del cibo che sprechiamo, si potrebbero sfamare 870 milioni di persone malnutrite.
Per dare un’idea più chiara di questa dimensione, da qualche anno è stato istituito l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui la popolazione umana esaurisce le risorse a disposizione per quell’anno. Nel 2020 è stato il 22 agosto, mentre nel 2019 era stato il 29 luglio: quest’anno infatti l’impronta ecologica mondiale risulta leggermente diminuita a causa della pandemia da Covid19 che ha fatto rallentare i ritmi mondiali di produzione, consumo e inquinamento.
Gli sprechi alimentari in Italia
Nonostante lo spreco alimentare sia un serio problema anche nel nostro paese, gli ultimi dati sembrano delineare un miglioramento. Infatti, in occasione della 7^ Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare dello scorso 5 febbraio 2020, promossa dalla campagna di sensibilizzazione Spreco Zero, l’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market, società nata dall’Università di Bologna con l’obiettivo di studiare spreco ed eccedenze alimentari, ha presentato il suo Rapporto 2020. Dai dati emerge un consistente calo dello spreco alimentare settimanale di ogni nucleo familiare, che in media costa € 4,9, per un totale di circa 6,5 miliardi € e un costo complessivo di circa 10 miliardi €, compresi gli sprechi di filiera generati nel 2020, che raggiungono oltre € 3miliardi 293 milioni. Il Rapporto Waste Watcher del 2019 invece, aveva registrato un valore medio di € 6,6 settimanali per nucleo familiare, per un totale di circa 8,4 miliardi €. Si vede quindi un incoraggiante trend in diminuzione, con un valore di circa 25% in meno in termini di spreco alimentare nelle case degli italiani.
Lo studio di Waste Watcher evidenzia anche una maggiore attenzione degli italiani per il rapporto tra cibo e salute: quasi 7 italiani su 10 (il 66%) ritengono ci sia una connessione precisa fra spreco alimentare, salute dell’ambiente e dell’uomo. Questa maggiore sensibilità per la sostenibilità del cibo incide in maniera determinante anche al momento dell’acquisto dei prodotti alimentari per 1 italiano su 3 (36%). Per avere informazioni sulla salubrità e sul valore del cibo si confermano essenziali le etichette: il 64% dichiara di consultarle al momento dell’acquisto come garanzia di sicurezza, mentre 1 italiano su 2 (51%) attribuisce più valore alla stagionalità dei prodotti. Tuttavia, c’è anche una percentuale di circa 1 cittadino su 4 che non presta particolare attenzione al rapporto tra tipologia del cibo e impatto sulla salute.
Il cambiamento delle abitudini alimentari dopo il Coronavirus
Il rapporto Waste Watcher 2020 era stato steso prima della pandemia da coronavirus, quando un paese intero si è ritrovato da un giorno all’altro chiuso in casa. In questa situazione, inevitabilmente le abitudini alimentari sono cambiate, ma si è comunque confermato il trend complessivo di diminuzione degli sprechi.
Secondo una recente indagine statistica di Altroconsumo sui cambiamenti delle abitudini alimentari degli italiani dopo l’epidemia di Covid19, il 41% della popolazione butta meno cibo rispetto a prima dell’emergenza sanitaria, confermando la tendenza registrata a febbraio. Sembra che il tempo passato in casa abbia fatto ritrovare agli italiani il valore del cibo: risultano in aumento anche le corrette abitudini antispreco, come la pianificazione dei pasti e la stesura della lista della spesa (operazioni compiute più frequentamente dal 39% degli intervistati). Inoltre, sono numerosi gli italiani che hanno ritrovato il tempo e la voglia di cucinare (il 49% degli intervistati cucina più di prima) e, forse di conseguenza, il 35% delle persone mangia di più. Gli italiani si confermano amanti della cucina casalinga, con una brusca riduzione degli ordini a domicilio, di cui un buon 40% degli intervistati fa a meno rispetto a prima del Covid.
Tuttavia, mangiare più spesso a casa non significa automaticamente mangiare più sano. La percentuale di chi lo fa di più e di chi lo fa meno rispetto ai temi pre Covid si equivalgono e sono al 20%. Anche l’attenzione all’etichetta sembra confermare la tendenza: il 19% la legge di più rispetto a prima, ma il 13% lo fa meno. Inoltre, è aumentata l’attenzione ai prezzi, con il 34% degli intervistati che ci fa più caso rispetto a prima, evidentemente anche a causa delle recenti difficoltà economiche.
Le possibili soluzioni allo spreco alimentare
Innanzitutto, come sottolinea Slow Food, per lottare davvero contro gli sprechi alimentari, è necessario attribuire al cibo e alla sua produzione il valore di bene comune, smettendo di considerarlo unicamente come merce e fornendo una definizione qualitativa di spreco alimentare.
Secondo la Fao, le strategie di lotta allo spreco devono essere diverse per i paesi ricchi e quelli più poveri. In questi ultimi infatti, è necessario innanzitutto un miglioramento della sicurezza alimentare e della nutrizione, una gestione più sostenibile delle risorse idriche e del suolo, in modo da ridurre le criticità nelle prime fasi della filiera, quelle della coltivazione, del raccolto e delle prime lavorazioni, dove si registrano maggiori perdite alimentari nel Sud del mondo.
I paesi ad alto reddito invece devono puntare sugli obiettivi ambientali, e in particolare sulla riduzione delle emissioni di gas serra, intervenendo soprattutto nelle ultime fasi della filiera alimentare, nei momenti della distribuzione, della vendita e del consumo, dove si verificano i maggiori livelli di spreco.
Cosa può fare ognuno di noi per ridurre gli sprechi alimentari?
Tuttavia, anche se è necessario migliorare a monte l’ottimizzazione di tutta la filiera agroalimentare per ridurre le perdite e gli sprechi dal campo al supermercato, ognuno di noi può fare qualcosa, soprattutto per ridurre lo spreco domestico, quello che ci riguarda più da vicino e che ha infatti cause prettamente comportamentali.
In primo luogo bisogna essere consapevoli di cosa e quanto si spreca, ricordando sempre che sprecare cibo equivale a perdere denaro. Inoltre, ci sono una serie di comportamenti virtuosi che si possono attuare con poco sforzo e che hanno conseguenze positive:
- fare regolarmente la lista della spesa in modo da non acquistare provviste in eccesso;
- controllare frequentemente le date di scadenza dei cibi e consumare prima quelli che si conservano meno;
- riutilizzare gli avanzi;
- non fare porzioni eccessive;
- conservare correttamente il cibo;
- condividere ciò che non si mangia più con parenti o amici;
- sostenere tutte le iniziative del nostro territorio che promuovono la prevenzione e la riduzione degli sprechi, il riutilizzo e il riciclo del cibo.
Esempi di organizzazioni contro gli sprechi
In Italia sono numerose le realtà che lottano contro lo spreco alimentare, ad esempio redistribuendo e trasformando prodotti non più vendibili ma commestibili in aiuti alimentari per persone in difficoltà. È ciò che fa da anni la Fondazione Banco Alimentare, che non solo agisce come food bank sul territorio e organizza ogni anno la Giornata nazionale della colletta alimentare, ma pubblica anche studi sulla povertà alimentare in Italia ed è stata promotrice della prima legge che ha introdotto nel nostro paese agevolazioni fiscali per le aziende che donano cibo.
Non sono pochi anche i siti internet e le applicazioni che commercializzano prodotti invenduti o vicini alla data di scadenza a prezzi scontati, come l’app TooGoodToGo, nata nel 2015 in Danimarca e ormai diffusa in numerosi paesi europei. Il funzionamento è semplice: attivando la geolocalizzazione del proprio smartphone è possibile vedere quali ristoranti, bar, panetterie, pizzerie e supermercati nelle vicinanze aderiscono all’iniziativa, scegliere un esercente, acquistare una “magic box” a sorpresa a bassissimo prezzo e infine presentarsi all’ora indicata per il ritiro. Il vantaggio è doppio: per il negozio che riesce a vendere i prodotti invenduti di fine giornata che altrimenti butterebbe nella spazzatura e per il consumatore, che con pochi euro può gustarsi economiche e relativamente abbondanti porzioni di cibo ancora buono, anche se un po’ meno fresco. Sul sito, sono riportati i numeri di questo bel progetto: ad oggi le magic box acquistate sono state 49.740.319 e le equivalenti tonnellate di CO2 risparmiate 124.351.
Un altro progetto simile è l’iniziativa BuonFine di Coop: in un’area dedicata del negozio si possono trovare i prodotti con l’etichetta Buon fine, scontati dal 30 al 50%, perché vicini alla data di scadenza o perché presentano un piccolo difetto sulla confezione, ma senza problemi in termini di qualità alimentare. Se i prodotti rimangono invenduti, vengono regalati ad associazioni che si occupano di persone svantaggiate.
Anche la onlus Foodbuster nelle Marche è attiva contro lo spreco alimentare e opera nell’ottica del recupero del cibo di qualità: i “Foodbusters” (gli attivisti “acchiappacibo”) infatti recuperano alimenti avanzati da matrimoni, feste ed eventi aziendali e lo consegnano a mense sociali, enti caritatevoli, case famiglia e ad altre istituzioni che aiutano i meno fortunati. Diminuire gli sprechi diventa quindi sinonimo di eco-sostenibilità, trasformando un potenziale rifiuto in una risorsa che sfama chi ha bisogno e dando così un forte valore etico al cibo.
Infine, spostandoci nel tacco dello stivale, è da menzionare WhyNok?, progetto pugliese nato da un’idea della giornalista Lucrezia Argentiero, per salvare dallo spreco i milioni di tonnellate di frutta e verdura, ogni anno scartati prima ancora di arrivare ai consumatori, perché non rispecchiano alcuni standard estetici di forma e dimensione o perché “abbruttiti” da vento o grandine.