Il 22 ottobre la Corte costituzionale polacca ha emanato una sentenza che inasprisce ulteriormente la legislazione nazionale sull’aborto, che già prima era una delle più restrittive d’Europa, in quanto consentiva l’interruzione volontaria di gravidanza solo in caso di stupro, pericolo di morte per la madre o gravi malformazioni del feto. Con la nuova legge invece, le donne polacche potranno ricorrervi solo nelle prime due circostanze (che corrispondono al 2% degli aborti legali in Polonia).
Il cambiamento di legislazione è stato fortemente voluto dal partito populista di destra PiS (Diritto e Giustizia), da cinque anni alla guida del paese, e dal suo leader, il vice premier Jaroslaw Kaczynski, che descrive l’aborto come un attacco alla famiglia tradizionale e alla fede della nazione.
Immediatamente dopo la diffusione della notizia, si sono scatenate numerose manifestazioni pacifiche organizzate dal movimento “Strajk Kobiet”, ovvero lo sciopero generale delle donne, che da più di un mese porta in piazza migliaia di persone in tutto il paese. Le proteste maggiori si sono tenute nella capitale Varsavia, dove il 30 ottobre circa 150mila persone hanno riempito le strade, violando apertamente le restrizioni anti contagio, gridando il proprio dissenso per la legislazione anti aborto di fronte al Parlamento, alle case dei politici e alle chiese.

Varsavia, 30 ottobre 2020. Agenzia stampa Redfish
Sono le maggiori manifestazioni in Polonia dopo il crollo del comunismo nel 1989 e ben rappresentano la profonda spaccatura del paese. Infatti, mentre la mentalità conservatrice e legata alla religione e all’immagine tradizionale di famiglia è molto diffusa tra le generazioni più anziane e nei contesti rurali, la maggior parte dei giovani e degli studenti delle città è ostile all’attuale governo e al presidente in carica Andrej Duda, noto per le sue posizioni conservatrici anche riguardo ai diritti dei rifugiati e dei migranti e della comunità LGBT.
In seguito alle enormi manifestazioni, il governo ha ritardato l’effettiva messa in vigore della nuova legislazione, lasciando i medici e le donne che necessitano di abortire nel limbo. Sono molti infatti gli ospedali che hanno già smesso di praticare aborti, per paura di infrangere la legge. Con il passare delle settimane, le proteste si sono intensificate e la polizia sta reagendo in modo sempre più violento. Gli scontri più gravi si sono verificati il 28 novembre, giorno dell’anniversario del voto alle donne in Polonia nel 1918. Durante una grande manifestazione a Varsavia, la polizia ha creato delle “barricate” per spezzare i cortei, utilizzando gas lacrimogeni e spray al peperoncino e dando multe a chi partecipava all’assembramento “illegale”. Inoltre, secondo alcune fonti polacche, agenti in borghese infiltrati in mezzo alla folla hanno picchiato alcuni manifestanti con dei bastoni e 20 persone sono state arrestate.
Negli ultimi giorni la situazione si è stabilizzata, anche se rimane molta tensione: i comitati organizzatori delle manifestazioni stanno cercando un dialogo con il governo, anche se le speranze di un vero cambiamento sono scarse.
Per comprendere meglio cosa sta succedendo in Polonia e come stanno vivendo questa situazioni le giovani donne, abbiamo intervistato Magdalena, 23 anni, e Karolina, 21 anni, studentesse di Varsavia.
A quali manifestazioni hai partecipato e cosa è successo?
Magdalena: «Ho partecipato a 4 manifestazioni. La prima, il 23 ottobre, è stata la più grande: c’era una folla di persone di fronte alla casa di Kaczinsky, leader del partito PiS e principale promotore del cambiamento nella legislazione sull’aborto in Polonia. La polizia diceva alle persone che non avrebbero dovuto accalcarsi in quel modo, che era pericoloso e che avrebbe causato ulteriori contagi da coronavirus. Sostenevano che non fosse il momento di protestare, ma le persone non ascoltavano. La manifestazione si è intensificata e tra marce, canti e balli ci siamo spostati dal centro di Varsavia al Parlamento e poi di fronte ad altre case di politici, coinvolti nell’approvazione della legge. Quel giorno le proteste sono continuate fino a mezzanotte, mentre nei giorni successivi si sono svolte diverse manifestazioni in tutta la Polonia, ma le maggiori sempre a Varsavia. Lunedì 26 ottobre le donne hanno cominciato a occupare tutte le rotatorie della città, bloccando nel traffico le automobili e i mezzi pubblici. Mercoledì 28 invece è iniziato un grande sciopero, non siamo andate a lavorare, né a scuola o all’università».
Karolina: «Ho partecipato con due amiche ad una manifestazione svoltasi il 6 novembre, circa due settimane dopo la prima protesta. Ci siamo trovati alle 19 di fronte al Palazzo della Cultura e della Scienza, nel centro di Varsavia. Nel frattempo si stava svolgendo un concerto, a cui ha partecipato anche la cantante polacca Patrycja Markowska. All’inizio la situazione era tranquilla, stavamo ascoltando la musica e aspettando che arrivassero più persone, in modo da iniziare la nostra marcia nelle strade. Ma dopo circa 30 minuti la polizia ci ha circondato con le camionette e ha cominciato a fermare le persone. Un poliziotto ripeteva al megafono che dovevamo andare a casa, perché, nel mezzo di una pandemia, rischiavamo di infettare i nostri cari. Credo volessero manipolare i nostri sentimenti, facendoci sentire in colpa per essere lì e per convincerci ad allontanarci. Poi ci hanno minacciato, dicendo che se continuavamo a rimanere lì ci avrebbero arrestati. A quel punto io e le mie amiche abbiamo deciso di tornare a casa perché una di loro non poteva assolutamente essere fermata, dal momento che il suo lavoro richiedeva che fosse incensurata. So che molte altre persone sono tornate a casa quella sera e che la manifestazione è finita circa alle 20.30. Non posso definirla una vera manifestazione, perché non abbiamo nemmeno iniziato. Credo che quel giorno non sia andata bene perché eravamo pochi, circa 100 persone. Il 30 ottobre c’erano in piazza 150 mila persone e i poliziotti non avevano minacciato nessuno, anzi alcuni di loro si erano schierati con i manifestanti. Durante la manifestazione a cui ho partecipato io invece erano consapevoli che, reagendo in fretta, ci avrebbero mandati via senza difficoltà. Ci aspettavamo una reazione del genere: tutti i presenti avevano sui polsi i numeri di cellulare di alcuni avvocati, che ci avrebbero difeso in caso di arresto».
Chi partecipa alle manifestazioni?
Magdalena: «Per lo più donne, ma anche famiglie, uomini e persone LGBT. Per la maggior parte siamo giovani e studenti ma partecipano anche adulti e anziani. E chi non può partecipare di persona urla a gran voce dalle finestre e dai balconi, sventolando bandiere di protesta e appendendo poster e striscioni ai muri».
Karolina: «Credo che ci siano così tanti giovani e studenti perché questo problema ci riguarda da vicino: presto potremmo formare delle famiglie e vogliamo avere il diritto di abortire e di scegliere se avere o non avere figli. Inoltre, con scuole e università chiuse, scendere in piazza è una buona opportunità per uscire e vedere gli amici, combattendo per i nostri diritti».
Ci sono stati scontri con la polizia o con gruppi di estrema destra?
Magdalena: «Delle 4 manifestazioni a cui ho partecipato, solo una è stata molto pericolosa, a causa della presenza di gruppi nazionalisti anti aborto che hanno cominciato ad attaccare i manifestanti. La polizia è stata abbastanza neutrale, cercando di non intervenire se non necessario, ma so che nelle ultime settimane ci sono state molte più violenze da parte della polizia, soprattutto durante l’ultima grande manifestazione del 28 novembre».
Karolina: «Personalmente non ho avuto questa esperienza, ma ho visto parecchi video online che mostrano come la polizia utilizzi spesso lo spray al peperoncino. Hanno anche arrestato una giornalista, nonostante avesse mostrato il suo tesserino di riconoscimento. Sempre dai video sul web ho saputo che alcuni gruppi di estrema destra hanno picchiato donne e uomini senza eccezione, strappando loro di mano i telefoni e buttandoli via. Ho avuto molta paura per i miei amici che erano lì in quel momento. Io e molti altri in questo periodo condividiamo nelle nostre Instagram Stories video, foto e informazioni utili per scendere in piazza “preparati”, ricordando ad esempio di avere sempre con sé i numeri degli avvocati, una seconda mascherina in caso la prima venga rovinata negli scontri e del latte (che allevia il bruciore agli occhi provocato dallo spray).Condividiamo sui social anche le ultime notizie sui gruppi di estrema destra: ogni tanto infatti si riescono a leggere i loro messaggi, e di conseguenza capiamo cosa stanno pianificando, dove si trovano e dove vogliono dirigersi».
Perché hai manifestato?
Magdalena: «Queste proteste sono qualcosa di davvero importante, sono il problema della Polonia in questo momento, volevo esserci. Il nostro paese infatti è ancora controllato dalla Chiesa e specialmente noi giovani vogliamo porre fine a questa stretta influenza delle gerarchie ecclesiastiche sul governo. Penso che ognuno abbia il diritto di credere nella religione, ma la chiesa non dovrebbe essere coinvolta nelle decisioni politiche. Con questa nuova legge ci sono stati sottratti diritti fondamentali, perché non potremo decidere cosa fare con il nostro corpo. Non è giusto che le donne siano obbligate a continuare una gravidanza, anche in caso di bambini con gravi malformazioni, che morirebbero poco dopo la nascita. Se qualcuna è contraria all’aborto non c’è nulla di male, ma è giusto lasciare a tutte le altre donne il diritto di scegliere. Noi giovani non possiamo più tollerare questo governo così conservatore e arretrato anche su altre questioni, come i diritti della comunità LGBT o il problema dell’immigrazione. Molti di noi non vogliono rimanere in Polonia a vivere e a lavorare. Non stiamo manifestando solo perché ogni donna possa decidere liberamente sul proprio corpo ma anche per tutti i cittadini di questo paese, affinché ognuno abbia gli stessi diritti e le stesse possibilità di vivere una vita normale e sicura».
Karolina: «Voglio avere il diritto di scegliere riguardo all’aborto. Penso che il compromesso legislativo che c’era prima del 22 ottobre era già parecchio lesivo nei confronti dei diritti delle donne. A mio parere, l’aborto dovrebbe essere legale in ogni circostanza, perché avere un figlio dovrebbe essere una scelta dei genitori e non dei membri del governo. È inaccettabile che persone che nemmeno sanno chi sono o come mi chiamo mi dicano cosa posso o non posso fare con il mio corpo e la mia vita. Non mi piaceva la legge di prima, ma potrei sopportarla, perché la normativa approvata il 22 ottobre è una violazione dei diritti umani. Il governo vuole che la legislazione polacca sia allineata con gli standard religiosi, ma non tutti in Polonia sono cattolici o credenti».
La mentalità conservatrice è molto diffusa nel tuo paese?
Magdalena: «Tra i giovani no, ma tra le generazioni più vecchie sono in molti ad essere d’accordo con la chiesa e contrari all’aborto. Pensano che vietando l’aborto si salvino delle vite umane, ma non capiscono che comunque non nasce nessun bambino se una donna decide di abortire, perché anche se è vietato lo farà lo stesso, tramite pratiche non sicure oppure andando all’estero, tra mille difficoltà. Queste persone sono contrarie all’aborto anche in casi di bambini con gravissime patologie, o con malformazioni, ad esempio senza alcuni organi, ma nessuno ha mai supportato finanziariamente le giovani madri con figli disabili. Non concepiscono l’importanza di dare alle donne la possibilità di scegliere ed è per questo che stiamo manifestando».
Karolina: «Io non credo. Gli altri paesi potrebbero pensare che siamo un paese fortemente cattolico e conservatore, ma non lo siamo, almeno non tutti. Certo, ci sono tante persone che credono in Dio, sono battezzate e si sono sposate in chiesa ma oltre a questo non praticano la religione. Oppure ci sono persone come me, che sono agnostica, ma sono stata battezzata e ho fatto la prima comunione per volere dei miei genitori, anch’essi non praticanti. Nel mio caso penso che il cattolicesimo rappresenti più una tradizione e l’opportunità di praticare quella religione se lo volessi. Ma non è così, e ci sono moltissimi giovani come me. Siamo definiti un paese cattolico, perché le istituzioni sono legate alla Chiesa. Sicuramente sono ancora molte le persone che vanno in chiesa e credono in Dio, ma non per questo è accettabile il comportamento del governo, che dovrebbe rappresentare tutta la popolazione. Succede la stessa cosa con la comunità LGBT, che oggi è accettata o tollerata dalla maggior parte dei polacchi e voglio che gli altri paesi lo sappiano. È il nostro governo che agisce contro di noi e ci mette in cattiva luce. Ovviamente ha la sua base elettorale, ma sono prevalentemente persone provenienti dalla campagna e con un basso livello di istruzione».
Cosa pensi succederà ora?
Magdalena: «L’aborto è una questione estremamente complessa nel nostro paese. Già nel 2016 il governo voleva cambiare la legge, ma non ci riuscì, proprio grazie alle grandi manifestazioni delle donne. Ora che c’è il coronavirus ne hanno approfittato per far passare la legge senza dire nulla a nessuno. Sapevano che ci sarebbero state meno persone nelle strade per paura del contagio. Le proteste stanno continuando e io spero davvero che nei prossimi anni cambieranno tutti i ministri al governo e avremo un paese migliore, perché ora non c’è nulla che vada bene. Siamo un paese spaccato: metà della popolazione odia il governo e il presidente».
Karolina: «Difficile dirlo. Spero che torneremo alla legislazione precedente al 22 ottobre, perché è improbabile che venga garantito il diritto ad abortire in ogni circostanza. Mi auguro anche che nelle prossime elezioni più persone giovani andranno a votare così che il PiS non vinca più».
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