Tha Supreme: l’enfant prodige, della musica italiana.
Ogni volta che penso a Tha Supreme mi viene in mente Rimbaud, non so perché. Forse l’età così giovane, forse il suo linguaggio al di là delle tradizionali rime che in visioni libere spezzava l’ordine sintattico e frantumava il ritmo. Un po’ come Verlaine con Rimbaud, Salmo (che ha fiuto e un certo gusto artistico) decide di mostrare al mondo il bambino prodigio affidandogli la produzione della prima release dell’album migliore e più importante della sua carriera (“Perdonami”, è stato il primo singolo rilasciato dell’album Playlist il più venduto album in Italia nel 2019). Non una cosa da poco.
Da lì tutti si chiedono chi sia questo Tha Supreme (e ancora se lo chiedono. Un nome proprio da trapper banale, una marca di moda lussuosa, sarà il solito alla gucci gang. Tutti si aspettavano questo. E invece no, da lì tutti sgomitano per chiamarlo e farsi produrre una sua base che in breve diventa un marchio di garanzia nella scena rap. Tanto che J Balvin (considerato il numero 1 nel genere che oggi è il più ascoltato al mondo, che ha lavorato con tutti i producer mondiali) sente Yoshi e gli piace così tanto che vuole anche lui cantare su quella, come a voler dire sicuro sei il miglior produttore in Italia, ma anche a livello mondiale non ho mai sentito nulla del genere.
<<Ho ucciso ‘sta trap>>:
Analisi tecnica su basi strumentali, linee vocali e testi di Tha Supreme
Quello che può saltare subito all’orecchio è la voce. Le linee vocali sono costantemente e volutamente storte. La voce va in vocalizzi che salgono su e giù come delle scale, seguendo la manopola dell’autotune. Rinunciando a volte alla limpidezza delle parole, usa la voce stessa come uno strumento e perciò ondeggia continuamente da note alte a note basse, da metrica lenta a veloce, spesso spezzata in enjemblement singhiozzati, tanto da sembrare un sitar indiano e conferire alla canzone un ritmo particolare. Quindi la base si adatta alla voce che è a sua volta un nuovo strumento che compone la melodia. Quasi a voler conferire più alla forma che al contenuto. Questo a volte crea delle linee troppo esagerate che vanno fuori dalla scala della tonalità, con falsetti esagerati e sillabe allungate e urlate fin troppo. Ma comunque rimangono linee sperimentali ed estremamente godibili se non per qualche esagerazione barocca.
Una sua base sembra sempre così diversa dall’altra eppure la riconosci subito, inconfondibile nella sua “stortezza”. Ciò che mi stupisce più di tutto ogni volta è l’immensa quantità di influssi musicali che hanno eco nelle sue basi e l’orecchio assoluto nell’unire generi così diversi e disparati, che denotano una cultura musicale spaventosamente onnivora, che penso pochi hanno potuto avere in adolescenza, se non in una vita intera.
Stile
In quasi tutte le produzioni si sente sicuramente una forte componente di musica psichedelica, che prende molto dal rock anni ‘60 (tra le sue linee strumentali si sentono i Jefferson Airplane, Jimi Hendrix, piuttosto che i Pink Floyd o i Doors: quella musica che cercava di simulare gli effetti psicotropi delle sostanze psichedeliche nella sua connotazione positiva e riflessiva, con l’intento cioè di voler ampliare le porte della percezione e dell’Io, per dirla come Huxley).
Ma poi le influenze si espandono Tha Supreme riesce a inserire e mescolare con maestria anche il jazz e l’electro-swing (in “sw1n6o”), basi acustiche folk e neoclassiche (m12ano, blun7 a swishland) o anche di rap old school anni ‘90 (vedi parano1a kid) mantenendo sempre il superstrato di bassi e drop potenti tipici della trap. Una trap così lontana dalla trap.
Il rapporto con la trap
In un verso di DOPPIOGANG annuncia quello che si può definire il suo manifesto poetico <<ho ucciso ‘sta trap>>. Il suo intento in qualche modo sembra quello di voler ridefinire e dare nuova dignità a quello che è il genere della sua generazione, ovvero la musica trap.
Sembra voler dire basta a tutti i cliché di ostentazione e opulenza (soldi facili, macchinoni “non m’importa niente di Porsche, comunque perché no, un giorno ci metto il forse però”, e via dicendo) ma i suoi testi si concentrano su temi più soggettivi.
La scuola, i litigi con le ragazzine e l’avversione ragazzine gold digger che nascondono nell’amore l’apparenza, la ricerca per i soldi e la fama facile, le stesse canne non vengono banalizzate come fa tutta la scena rap a mera posa o segno di appartenenza a un mondo o status austero di alienazione al di sopra della media, ma come mezzo che non si sa bene cosa contiene e che ci si ritrova per le mani non si sa bene perché in una giovinezza così puerile e che da gioco, da sostanza per calmarsi può dare paranoie e alterazioni della personalità… e così varie esperienze personali si ritrovano nei testi come ogni canzone fosse una pagina di un diario personale.
I testi
I testi sono infatti come il diario di un adolescente: spesso è confuso e le parole sono gettate li, in maniera infantile e non curata, non c’è la volontà di una bellezza e di una ricerca profonda nei contenuti ma è appunto una scrittura di getto spontanea e sincera. Non mi fanno impazzire i testi, non sono a livello delle basi, nondimeno si nota come fondamento comune la ricerca di nuovi valori, tutti i drammi di ricerca di identità connessi all’età, la voglia di sincerità al di sopra di tutto. Sicuramente i testi della sorella Mara Sattei (più maturi e poetici) uniti alle sue basi arrivano a toccare paradisi musicali contemporanei non ancora esplorati.
La scelta dell’anonimato e la maschera in Tha Supreme
E considerato questo il suo nome sembra appunto una parodia al genere trap stesso. Come accennato, sembra proprio un nome banale che potrebbe scegliere un qualsiasi trapper banale. Un marchio di moda. Lo prendo e me lo appiccico addosso. Fa hype, fa figo. Eppure la sua musica e le sue parole esprimono tutto l’opposto degli stereotipi del genere. Non è importante il denaro e la fama, anzi disprezza le persone che si avvicina a lui solo per quello e non sembra nemmeno un caso in questo senso la scelta della maschera.
Come già aveva intuito Elena Ferrante, l’anonimato crea attorno a sé una sorta di leggenda. Ma è ancora più importante per un’artista perché fornisce un’armatura che permette di non far penetrante troppo la vita privata nell’arte e l’arte nella vita privata, che permette di tenere ben separati persona e personaggio, e quindi di mettere al primo posto non se stessi ma la propria arte e dunque il pubblico è chiamato a giudicare non l’artista ma la sua opera. Una questione annosa di cui già si era lamentato Proust con Saint-Beuve: “quando vado a fare la spesa non sono la stessa persona che scrive”.
Critica alla trap
E ancora qui si può notare un attacco velato e una lotta di valori contro quella parte marcia di musica (specie trap) che da più importanza al look, all’immagine che non propriamente alla musica, quella musica intesa come arte artificiale che costruisce prima il personaggio lo da in pasto al pubblico e poi ci appiccica addosso qualche canzone, non importa quale e non importa cosa dice, non importa se è bella, importa se chi la canta è figo.
In sostanza, sicuramente è un artista da tenere d’occhio. Sa sperimentare e sa trovare la sua dimensione. Però forse è ancora troppo presto e bisognerà osservare la sua evoluzione. Ciò che mi sono proposto era un’analisi meramente tecnica degli aspetti della sua musica, nella speranza di darvi spunti nuovi.
Grazie della lettura.
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