Il Global Digital Report del 2019 colloca l’Italia al 22esimo posto per l’utilizzo di dispositivi digitali (con una media di 6 ore e 4 minuti al giorno), mentre, al primo posto in assoluto, troviamo le Filippine con una media di 10 ore al giorno spesi online, a seguire il Brasile con una media di 9 ore e 30 minuti.
Più specificamente, riguardo ai social network, il report segna la media italiana di 2 ore al giorno passate attivamente sui social network, segnalando una classifica secondo la quale al primo posto troviamo il motore di ricerca Google, al secondo Youtube ed al terzo Facebook.
Dal punto di vista psicologico, quindi, cos’è ciò che ci porta a questa nostra ossessione per il web ed i social network?
Ci fanno sentire perfetti
Sembra quasi che ogni social network riempia parte della nostra vita quotidiana facendoci sentire quasi “perfetti” e desiderati.
Il nostro istinto di postare una storia su Instagram oppure un video su TikTok è reso tale dal fatto che qualcuno guarderà quel contenuto, magari reagendoci, ed è proprio questo ciò che riesce a variare il nostro stato d’animo portandoci a postare sempre più contenuti.
Ci rendono liberi
Per molti, i social sono un luogo dove si può essere se stessi, per altri un luogo dove si può essere qualcun altro. Non sempre ciò risulta essere positivo, infatti è molto probabile che sui social si abbia a che fare con profili fake e che quest’ultimi, protetti dall’anonimato, possano risultare offensivi od avere uno scopo derisorio.
Facebook, nel solo trimestre tra gennaio e marzo 2019, ha rimosso ben 2,9 miliardi di profili falsi ed inaffidabili.
La concezione che per molti non è chiara è che ciò che si fa con un click su uno smartphone può avere conseguenze anche all’esterno, non solo conseguenze psicologiche per l’eventuale vittima di cyberbullismo bensì anche legali.
Il 22% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni dichiarano di essere stati colpiti dal cyberbullismo mentre le vittime che hanno denunciato alla polizia postale ammontano a 269 per il solo 2019.
Filtrano la nostra vita
Parlando di “filtri” siamo certamente abituati alla concezione fotografica della parola senza tener conto che per “filtro” nei social si intende spesso anche la filtrazione secondo la quale noi abbiamo accesso ai contenuti.
Nella funzione “Esplora” di Instagram, così come in quella “Per Te” di TikTok, il social network ci mostra dei contenuti in base ai nostri interessi rendendoci sempre più piacevole l’utilizzo dell’app ma, allo stesso tempo, oscurandoci contenuti ed ideologie non affini alla nostra rendendo l’esperienza di utilizzo incompleta e limitata ad una visione sempre meno globalizzata (differentemente dal continuo confronto di idee che avviene nella nostra quotidianità).
Ci fanno sentire protetti
Abbiamo sempre visto i social come un posto sicuro, soprattutto quando si è in possesso del cosiddetto profilo “privato” ignorando che oltre la privacy diretta su un social network bisogna sempre prestare attenzione alla filtrazione e profilazione che le società fanno dei nostri dati.
La profilazione dei social network
Proprio ultimamente è tornata di rilievo la discussione sulla gestione dei dati degli utenti da parte delle piattaforme di condivisione social.
Con il recente scandalo statunitense dell’app TikTok, il presidente degli USA, Donald Trump, seppur senza prove effettive, ha accusato l’applicazione adolescenziale di short video di aver minato la sicurezza dei cittadini americani. Si tratterebbe di una violazione apparentemente avvenuta attraverso un rapporto indefinito e di parte con il governo cinese che avrebbe portato alla condivisione dei dati dei cittadini statunitensi ed al danneggiamento dell’imparzialità politica della community, imponendo a quest’ultima di vendere le quote societarie di gestione territoriale ad una società federale.
Facebook, oggi possessore anche di Instagram e Whatsapp, non è da meno. E’ stato protagonista di numerosi scandali di rilievo internazionale sulla profilazione ed utilizzo di dati non legittimamente definito. L’ultima vicenda targata FB riguarda Cambridge Analytica 2019 la cui commissione, avendo accusato l’app di aver violato i dati di tutti i propri utenti non avendo un’informativa adeguata, ha condannato la società Facebook al pagamento di una sanzione di 5 milioni di dollari e, come poche volte nella storia, la risposta della multinazionale è avvenuta con delle scuse ai propri utenti e con il pagamento dell’intera sanzione predisposta dalla Federal Trade Commission degli USA.
Un punto a sfavore, possono farci star male.
Seppur espressione di libertà, come accennato prima, non sempre i social sono un posto adatto a tutti. I dati 2019 dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, in collaborazione con l’iniziativa della Polizia di Stato per il corretto uso di internet, rivelano che, in Italia, il 59% di vittime di cyberbullismo ha pensato almeno una volta al suicidio nel momento di sofferenza maggiore, il 52% confessa di provocarsi del male fisico intenzionalmente, l’82% dice di sentirsi frequentemente triste e depresso e, circa il 71%, esplode in frequenti crisi di pianto.
La soluzione potrebbe essere quella di aumentare i controlli sui bambini che utilizzano queste piattaforme e sui contenuti offensivi che possono girare. Per il resto sta a noi apprendere e far apprendere quella che deve considerarsi nient’altro che “un’educazione digitale” volta al rispetto reciproco in rete così come all’esterno.