Il Cile è un paese che si è confrontato con periodi di inflazione e di forte crisi economica, con un colpo di stato da cui scaturì una dittatura della durata di quasi un ventennio, e che, all’oggi, si deve rapportare con il tracollo economico, politico e sociale, sfociato in accese proteste represse nel sangue.
Una nazione che ha percorso un iter simile a molti paesi latinoamericani, scissi spesso tra il sogno di una sinistra autonoma e l’incubo di un autoritarismo violento.
Durante il periodo del regime di Augusto Pinochet, le parole d’ordine per l’economia del Paese erano privatizzazione e riduzione dei servizi sociali, caratteristiche che anticiparono un decennio di intese tra potere autoritario e ultra liberismo. In ambito politico-sociale, invece, il paese conobbe un clima di terrore, repressione e deportazioni.
Con la caduta della dittatura di Augusto Pinochet, nel 1990, il Paese si preparò ad una transizione democratica, che puntava ad eliminare dai vertici di governo quella autoritaria “giunta militare”, e che era finalizzata a rivendicare l’applicazione di quei diritti fondamentali, troppo a lungo repressi.
Questo periodo di democrazia trovò il suo acme con la presidenza Bachelet, tra il 2006 e il 2010, che, con la riduzione della povertà e il favoreggiamento di politiche di sostegno delle risorse energetiche alternative, fece del Cile il paese più ricco di tutta l’America Latina.
“Questo miracolo cileno”, scrive oggi la giornalista Fernanda Paúl, sul quotidiano BBC Mundo, “sembra abbia ignorato le richieste di una società che sostiene di essere stata maltrattata” e che accusa i suoi leader politici di essere eccessivamente estranei alle vicissitudini di una popolazione oppressa da forti disuguaglianze economiche e sociali.
I cileni oggi assistono ad un neoliberismo in crescita e alla conseguente privatizzazione di molti settori della vita quotidiana. Si pensi a quella delle risorse idriche e ad una retrocessione in materia di diritti del lavoro. Ne consegue che i salari minimi sono miserabili, la situazione pensionistica è sempre più critica e la “desindacalizzazione” dei rapporti di lavoro ha portato ad una ingente precarietà di questi.
Il governo Piñera ha pensato di risolvere tali problematiche aumentando il costo dei mezzi di trasporto nelle ore di punta. Decisione che ha portato allo scoppio di un’agguerrita rivolta contro il caro vita, sfociata il 18 ottobre in una violenta repressione delle forze dell’ordine cilene e il ritorno dell’esercito nelle strade di Santiago.
Fernando Chomali, arcivescovo di Concepción, esprimendo il suo pensiero circa questa crisi cilena, afferma come sia necessario “un lungo e profondo lavoro di dialogo, cambiamento vero e riconciliazione”.
Il quotidiano Internazionale sostiene poi che “questa tensione, violentissima in Cile, è in realtà lo specchio di un conflitto in corso su scala globale”.
Che siano governi di destra e che siano governi di sinistra questo malessere dello Stato, nella sua accezione più generale, non è altro che il sintomo di democrazie fragili su larga scala.
Assistiamo ad un arretramento della politica a favore del predominio della gestione amministrativa secondo criteri tecnici. Lo stato odierno si trova a fare i conti con un fenomeno mondiale nuovo: la sovranità dell’economica finanziaria. In questo scenario l’economia diventa una variabile indipendente e la politica prende semplicemente atto degli obiettivi individuati dal mercato.
Davanti al malcontento di una popolazione che non si sente più rappresentata a dovere, anche i governi più democratici protendono verso rotte estremiste, per lo più di destra, con governi corrotti, nei quali si evince una spiccata influenza degli interessi particolari.
Di questo malessere politico generale, in cui si ravvisa un così elevato distacco tra società civile e società politica, cosa rimane di quel “patto sociale” originario, che diede vita alla attuale anacronistica democrazia rappresentativa? Cosa rimane dell’idea di volonté générale rousseauniana, diretta al bene del corpo politico non in quanto somma di singoli, ciascuno con i suoi interessi particolari, ma in quanto comunità legata da un patto costitutivo e caratterizzata da un interesse comune? L’Italia può dirsi davvero estranea alle dinamiche nate in Cile?
Alla luce di questi avvenimenti come possiamo percepire la rivolta ad Hong-Kong e la protesta dei “gilet gialli”?