Buongiorno bellezze! Benvenuti a questo primo numero di Viaggi Falliti. Io sono il Barone Viaggiante. Ovviamente non mi chiamo così, ma non penserete mica che io venga a dire il nome a voi miserabili? Ho degli amici, o meglio, delle persone che sopporto, che mi hanno chiesto di tenere una rubrica sui nostri vari Viaggi Falliti. In realtà loro, non so come, li ritengono dei grandi successi, dato che si sono divertiti e hanno speso pochissimo.
Io, invece, non sopporto questa vita da poveri comunistelli. Ma sono in pochi a sopportare me, quindi non mi resta che viaggiare con loro. Concedetemi almeno di lamentarmi.
Come (non) arrivare a Belgrado
“Dai, prendiamo un Flixbus di notte: costa meno e risparmiamo la casa per una notte”. Ma sì dai, why not?
Perché fa schifo, ecco perché. Idioti. Eravamo a Budapest, ridente capitale ungherese. Anche lì è stato uno schifo, ma questa è un’altra storia. Anyways, fortunatamente riusciamo ad abbandonare quel dedalo di vie dove ti accoltellano ogni due metri se non stai attento. La prospettiva erano però cinque ore di Flixbus. Flixbus serbo. Flixbus serbo di notte. Anzi, Flixbus serbo di notte per attraversare una frontiera extraeuropea. Oh yeah.
Arriviamo e diamo i nostri bagagli al tizio incaricati di metterli nella stiva (si chiama così?). GIà solo darglieli è stata una bella scommessa, ma sono arrivati, somehow. Non dimentichiamoci che ci ha chiesto due euro per bagaglio. Giustizia o concussione? Chi lo sa. A quanto pare non era un Flixbus ufficiale, ma una società delegata. Non solo viaggiamo con lo schifo, ma con i delegati dello schifo.
Saliti, scopriamo che i posti sono assegnati, e guai a cambiarli: spunta un uomo con un fucile che ti riporta all’ordine. Fortunatamente, noi eravamo tutti vicini. A parte Sandra, che si è ritrovata in fondo al pullman vicino a un omone di dubbia pulizia (anche a livello di fedina penale).
Poi partiamo, e inizia a diffondersi nell’aria una canzone popolare serba. Quando finisce, riparte una canzone simile. Ah no, è la stessa. E poi riparte ancora, e ancora, e ancora. Cinque ore su un Flixbus delegato serbo di notte per attraversare una frontiera extraeuropea con una canzone popolare serba in loop.
Arriviamo alla frontiera, e ci fanno scendere tutti. La cosa mi ha stupito: capisco che all’ingresso in Europa controllino i documenti ai passeggeri, per evitare l’ingresso di criminali serbi; ma i serbi, di cos’hanno paura precisamente? Sono molto più pericolosi. Comunque, scendiamo tutti dal bus e ci controllano i documenti. Così, usciamo dall’Unione Europea a piedi e risaliamo sul pullman. Non dimenticatevi che erano le due di notte. Dopo 500m di coda, dobbiamo scendere di nuovo: controllo documenti all’ingresso in Serbia. Entriamo in Serbia a piedi e risaliamo sul pullman: alle tre e qualcosa riusciamo finalmente a chiudere occhio, con la nenia in loop a cullarci.
La stazione dei pullman di Belgrado alle cinque di mattina
Arriviamo a Belgrado alle 5, anziché alle 6. L’unica volta in cui avrei voluto arrivare in ritardo piuttosto che in anticipo. Ci incamminiamo a fatica verso la parte nord della città, dov’era la nostra casa. Con gli zaini. La mattina. Senza aver dormito. Un incubo. A consolarci, arriva un tocco di folklore: un edificio bombardato, su un viale principale. Per chi non ci credesse, allego foto.
La casa sarebbe stata a disposizione dalle 15. Ci rifugiamo in un Mc Cafè: un po’ di sano, accogliente capitalismo. Anche loro, tanto pauperisti, hanno gradito. God bless America.
Muoriamo per un paio d’ore al Mc, poi decidiamo di fare qualcosa. Grazie a Google, scopriamo che a breve distanza si trova San Sava, spettacolare chiesa ortodossa. M’è piaciuta molto, lo confesso. Peccato doversi guardare le tasche e le spalle ogni dieci metri per prevenire i furti. Ma tipo studiare e trovarsi un lavoro? Non mi interessa che siate poveri, se vi rimboccate le mani potete diventare CEO di Google.
Visitata la chiesa, mentre i nostri pauperisti pigri decidono di tornare al Mc a dormire, io e altri due eroi ci spingiamo fino al museo su Nikola Tesla, grande inventore serbo. Così, avanzando fra la calura di Belgrado ad agosto, raggiungiamo l’elegante villa cittadina che ospita il museo. Coda chilometrica. Per Tesla. A Belgrado, non proprio città turistica. Davvero inspiegabile. L’unica spiegazione è che fosse tradizione nazionale recarsi al museo il mercoledì mattina.
D’altronde, il fallimento è il succo di Viaggi Falliti.
Il viaggio verso la casa
Arrivano le 14, quindi decidiamo, con largo anticipo, di recarci alla casa, distante quindici minuti a piedi. Con enorme fatica risaliamo la collina. GIunti a un incrocio, commetto un errore imperdonabile. In stato catatonico, non mi accorgo che il semaforo è rosso. Rischio di farmi investire. Fortunatamente, i riflessi dell’autista sono sufficientemente pronti e riesce a inchiodare. Come lui inchioda quello che lo segue, ed evitano il tamponamento.
Non riesce però a evitare l’impatto un autista che stava svoltando a sinistra, arrivando dalla direzione opposta: si raschia tutta la fiancata contro la seconda macchina. Scende, controlla il danno. Scende anche l’altro, e controlla anche lui. Si guardano. Urlano qualcosa in serbo. Si mandano a stendere. Risalgono in macchina. Ripartono. Come se nulla fosse.
La scena è totalmente priva di senso. Ma io sono vivo e nessuno mi ha chiesto i danni.
In fondo, non era colpa mia, dato che sono stato obbligato a dormire su un Flixbus delegato serbo di notte per attraversare una frontiera extraeuropea con una canzone popolare serba in loop.
Com’è andato il resto del viaggio? Beh, sarà oggetto del prossimo articolo della rubrica Viaggi Falliti.
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