Venere veniva chiamato dagli antichi la “stella del mattino”, per via della sua luminosità che difficilmente passa inosservata nel cielo notturno. E mai avremmo pensato che proprio su quel pianeta quasi nostro gemello, così simile per dimensioni ma al tempo stesso così diverso per le condizioni estreme che lo rendono un pessimo candidato per una nostra eventuale colonizzazione, avremmo trovato un indizio forse riconducibile alla vita. Tuttavia, in una conferenza del 14 Settembre 2020 Jane Greaves, docente dell’Università di Cardiff, ha confermato la presenza di fosfina nell’atmosfera di Venere. Greaves ha guidato un team di ricerca che si è occupato di osservare il pianeta con il telescopio James Clerk Maxwell sul monte Mauna Kea (Hawaii) alla ricerca di questa molecola, per confermare i risultati di un precedente esperimento: la prima osservazione avvenne infatti nel 2017 con il radiotelescopio ALMA, situato a cinquemila metri di altitudine in Cile.
Ma com’è avvenuta la scoperta? Per capirlo immaginiamo per un secondo che l’atmosfera di Venere sia un enorme ufficio postale. In questo ufficio postale lavorano diversi impiegati, che nella nostra metafora rappresentano tutte le varie molecole che compongono l’atmosfera. Immaginiamo anche che i fotoni, le particelle che formano la luce, siano caramelle. Siccome i fotoni possono avere diverse lunghezze d’onda, diremo che le nostre caramelle possono essere di diversi gusti, uno per ogni lunghezza d’onda. Ora facciamo un passo indietro. Perché Venere e tutti i pianeti, che di per se’ non emettono luce, di notte brillano? La risposta che per molti sarà scontata è che la luce che noi vediamo emettere dai pianeti del cielo notturno è in realtà luce del sole riflessa da questi pianeti. Il sole emette luce in una vastissima gamma di lunghezze d’onda.
Parlando in termini della nostra metafora, spedisce lettere con all’interno caramelle di tutti i gusti. Dalla terra noi possiamo ricevere queste lettere con diversi tipi di telescopi a seconda del gusto delle caramelle che vogliamo ricevere, ovvero a seconda delle lunghezze d’onda che vogliamo osservare. Puntando un telescopio a Venere, quindi, noi riceviamo le lettere del sole con tutti i gusti all’interno, lettere che però essendo rimbalzate su venere son passate per l’atmosfera: il nostro ufficio postale. Qui ogni impiegato ha trovato le caramelle del suo gusto preferito, e le ha mangiate. Di conseguenza la lettera che arriva al nostro telescopio non conterrà più tutti i gusti come alla partenza dal sole. Quindi controllando la presenza o meno delle caramelle di determinati gusti, noi possiamo stabilire se su Venere è presente o no l’impiegato a cui piacciono. Parlando in termini scientifici e abbandonando la nostra metafora, sapendo quale lunghezza d’onda è assorbita dalla molecola che stiamo cercando, possiamo controllare lo spettro emesso da Venere e controllare se l’intensità della luce emessa a quella lunghezza d’onda varia rispetto alle altre.
Analogamente, dalle nubi più interne di Venere vengono generati fotoni su molte lunghezze d’onda nello spettro delle onde radio che passano l’atmosfera di Venere e arrivano sulla Terra. Qui, con i due radiotelescopi che ho nominato sopra, è stata registrata l’intensità dei fotoni in arrivo per ogni lunghezza d’onda e si sono scoperti cali di intensità in corrispondenza delle lunghezze d’onda tipicamente assorbite dai movimenti delle molecole di fosfina. Combinando questi dati con modelli atematici che descrivono in maniera semplificata l’atmosfera di Venere è stato possibile ricavare una stima della concentrazione di fosfina che si aggira intorno alle venti parti per miliardo, di molto superiore alla concentrazione di fosfina nell’atmosfera terrestre, in cui è quasi assente. Un altro dato interessante è emerso invece dai calcoli effettuati per stimare l’altitudine a cui si trova questa fosfina.
Facendo una triangolazione tra la risoluzione spaziale del telescopio, l’intensità registrata e la distanza tra il nostro pianeta e Venere si è scoperto infatti che la fosfina proviene da nubi tra i cinquantatré e i sessanta chilometri di altitudine. Questo dato è particolarmente importante perché questa zona ha una temperatura che stimiamo essere tra i meno quaranta e i sessanta gradi centigradi, una fascia temperata che potrebbe favorire la proliferazione di microorganismi. Ad oggi ci sono noti infatti solo due modi per cui la fosfina viene generata sulla Terra. Artificialmente in processi industriali e biologicamente per biosintesi da microorganismi anaerobi, ovvero che non necessitano di ossigeno per vivere. Dobbiamo chiaramente escludere la prima opzione, siccome non ci sono noti stabilimenti industriali su Venere.
La seconda opzione, che considera la fosfina come una biofirma che attesta la presenza di vita non è però automaticamente convalidata: questa molecola è stata rilevata, seppur in quantità enormi rispetto a Venere, nei giganti gassosi come Giove e Saturno grazie alle sonde Cassini e Galileo. I processi di produzione di così tanta fosfina però impiegano molta energia, che nel caso dei giganti gassosi è facilmente riconducibile alle straordinarie pressioni e temperature presenti. Questi processi non sono però verosimili su un pianeta come Venere, che è troppo simile alla Terra rispetto a Giove e Saturno. Tuttavia le condizioni su questo pianeta rimangono estreme, tanto da lasciare aperta l’ipotesi che vede all’origine della fosfina processi geochimici o elettrochimici sconosciuti.
Tutte le ipotesi in campo sono da un punto scientifico molto interessanti, sia che coinvolgano vita extraterrestre o processi che non conosciamo. La prima ipotesi apre comunque un nuovo capitolo negli studi dell’astrobiologia, le cui frontiere continuano a espandersi su molti versanti. Entro il 2030, per esempio, una missione bilaterale tra la NASA e l’Agenza Spaziale Europea si propone di esplorare gli oceani di acqua salata presenti sotto le croste di ghiaccio di Europa, un satellite di Giove. Ma non bisogna andare tanto lontano per sentire parlare di forme di vita extraterrestri.
L’osservatorio Astronomico della Valle d’Aosta, infatti, porta avanti un progetto italo-francese chiamato EXO-ECO che cerca di sensibilizzare il pubblico alla sostenibilità ambientale anche attraverso laboratori su esopianeti e astrobiologia. È vero, è quasi matematicamente certo che nell’universo non siamo soli, ma alieni o no il nostro pianeta rimane una perla unica da proteggere. Nonostante ci siano oltre 10 miliardi di pianeti simili alla Terra nella nostra galassia potrebbe essere che solo qui, su questo pianeta che troppo spesso ci dimentichiamo essere la nostra casa, si sia sviluppato l’essere umano.
Un sincero ringraziamento al personale dell’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta e in particolare a Lorenzo Pizzuti, per la disponibilità a fornirmi informazioni su questo tema.
Articolo di @nicolo_bagnasco