Autore: Joan Sales
Opera: Incerta gloria (titolo originale in catalano: Incerta glòria)
Anno: 1956-1971
Traduzione: Amaranta Sbardella (2018)
Chi conosca riga per riga questo romanzo-monstre di Sales (596 pagine), ambientato al tempo della guerra di Spagna, non può aver dubbi: la gran parte delle recensioni circolanti, concordi nel definirlo un capolavoro, si basa su letture sommarie e/o parziali. Vediamo adesso il perché.
La teoria di base di “Incerta gloria” è enunciata con chiarezza fin dall’inizio: “prima di finire nell’immobilità totale”, per una “sete indefinita” di gloria, cioè di eternità, l’uomo accetta qualunque cosa – anche la guerra. Verso l’epilogo, tuttavia, ci si chiede che senso abbia combattere per la gloria, se è vero che una guerra di rado ne dà. Si dovrebbe concludere che, allora, l’unico motivo in grado di giustificare la consapevolezza di una probabile morte nell’anonimato sia la nobile volontà di sostenere degli ideali e di salvare, per solidarietà, chi rischi di vivere nel terrore. Sales invece conclude che l’anelito a un’incerta gloria anche a costo della morte costituirebbe un fatto psichico irrazionale (un personaggio, in vista di farsi sacerdote, commenta a proposito di questa aporia: “Tutti i misteri della vita e della morte si risolvono in Gesù crocifisso!”).
Il romanzo poggia dunque su di un assunto pretestuoso. Non manca di punti di forza nelle lunghe fasi in cui la guerra è ridotta a un’eco lontana, con personaggi quali il dissacratore monologante Soleras, la fascinosa “carlana”, il saggio dottor Gallifa, che appaiono e scompaiono. Ma c’è una forte discontinuità, perché sono disseminati nella prima parte, che è diaristica, con gli astratti furori di Lluis, e nella terza, che è narrativa e vede al centro Cruells (una quarta parte è stata pubblicata a sé). La sezione centrale contiene le prolisse lettere di Trini (una arriva a 30 pagine, un’altra a 26), un passaggio a vuoto di centinaia di capoversi essenzialmente centrati sul passato della ragazza; paiono scritti così per scrivere – un caso flagrante del famoso “battere a macchina” che Truman Capote rimproverava a Kerouac. Il sospetto è che l’intenzione dell’autore non sia di comunicare con originale essenzialità un contenuto, ma di coinvolgere chi legge attraverso una sovrabbondanza verbale che, per di più, supporti l’ambiguità ideologica di fondo: quella che emerge quando Trini sentenzia che “i martiri di oggi saranno i boia di domani”, o che l’”eccesso di libertà” a Barcellona sotto il controllo repubblicano, con dei miserabili mestatori alla guida della propaganda, avrebbe diffuso “tristezza” e “ipocrisia”.
Certo, Sales alla fine riesce a far comprendere come, per dirla con Croce, tutta la storia sia storia di libertà. L’uomo, avvolto nel “doppio abisso” dell’”osceno” (la nascita) e del “macabro” (la morte), ha nei secoli continuato a vivere e a morire per le guerre, le pandemie, le grandi crisi economiche. Con qualche errore, però, degli uomini – e di Sales. Nella guerra civile spagnola, dicono più volte i suoi personaggi, la scelta di campo è quasi sempre determinata dalla pura e semplice collocazione geografica; si sostiene poi che entrambe le retrovie si sarebbero macchiate in modo costante di crimini contro l’umanità, ma ci si sofferma sempre solo su quelli dei “rossi”; non si parla delle brigate internazionali, e si tacciano i democratici moderati di ipocrisia e snobismo; né si cita l’apporto decisivo fornito a Franco dai nazifascisti; le posizioni degli antifranchisti, del resto, sono appiattite su quelle degli anarchici, e queste ultime su quelle dei terroristi anticlericali (il romanzo diviene poco a poco un inno alla forza della religione contro il “caos di pretesti ideologici” di anarchici & co.)…
All’ultima pagina si matura un senso di disappunto: Joan Sales non avrebbe fatto meglio a ritoccare “Incerta gloria” almeno dopo la fine del Generalissimo (1975)? Invece, morì nel 1983 senza mai provare a renderlo più snello, e neppure più onesto. Oggi in Italia il libro viene riedito con molte esaustive osservazioni formali da parte della curatrice, che lo colloca nella parabola artistica di Sales, ma senza alcun cenno a queste gravi criticità.