Autore: Shirley Jackson
Opera: Lizzie (titolo originale in inglese americano: “The Bird’s Nest”)
Anno: 1954
Traduzione: Laura Noulian
Nel lungo cammino che va dai racconti macabri, dell’orrore e del paranormale di E.T.A. Hoffmann ed E.A Poe, autore molto influente, a quelli di Stephen King, non vanno dimenticati due romanzi: “Lizzie” e “L’incubo di Hill House” (1959, “The Haunting of Hill House”), della scrittrice californiana Shirley Jackson (1916-1965, celebre per “La lotteria”). Ne furono anche tratte delle riduzioni cinematografiche: da “Lizzie” il buon film omonimo di Hugo Haas (1957), in italiano “La donna delle tenebre”; dall’ “Incubo” il capolavoro “Gli invasati” (“The Haunting”, 1963) di Robert Wise, ricco di geniali effetti scenici.
A caratterizzare i vari capitoli di “Lizzie” è una focalizzazione cangiante, anche se, come accadeva non di rado già in Poe, si impone fra tutte la prospettiva di uno specialista, in questo caso il placido ma combattivo dottor Wright. Gli si richiede di guarire Elizabeth Richmond, una ventitreenne affetta da certe crisi nervose la cui reale dinamica viene lasciata nel vago.
Nemico degli psicoanalisti (“una manica di idraulici per i quali ogni mente è un pozzo nero e ogni cuore una sentina di malvagità”), Wright sceglie di procedere con l’ipnosi. Ma se all’inizio è sicuro di poter venire a capo del caso, con il tempo cadrà nello sconforto. Fin dai primi incontri scoprirà infatti, nello sconcerto, gli strati entro cui si è andata frantumando la personalità originaria di Elizabeth, costretta “in una gabbia impenetrabile di incomunicabilità e paura”, con tre ego che si affollano in un’unica mente – la scialba Lizzie, l’adorabile Beth e l’insolente Betsy, secondo i nomignoli assegnati dal medico. Senza contare che, lungo la seconda metà del volume, nel pieno di quello che viene definito l’assalto alla “cittadella” della Elizabeth profonda, affiorerà un’ulteriore personalità, quella di “Bess”, doppio speculare dell’avida zia Morgen (con cui la ragazza vive). Fra le due si svilupperà un forte contrasto, soprattutto in relazione all’eredità che attende Bess-Elizabeth dal giorno della misteriosa morte della madre. Il crescendo verso la gran resa dei conti finale, ben supportato da una scrittura snella e pregnante, sarà inesorabile.
Come si è visto, il tema centrale, che nella sua rigorosa monoliticità conferisce a quest’opera i tratti di un racconto lungo, è quello della scissione dell’Io. E la Jackson, da scrittrice di rango, ne sfrutta al meglio le multiformi potenzialità narrative: oltre a varie scene che ben evocano il “groviglio ipnotico” con cui il dottore ha a che fare, sono memorabili sia quelle in cui la ragazza, nella vita quotidiana, slitta da una personalità all’altra – opportunamente impostate su di un registro tragicomico, con utile effetto di decompressione umoristica -, sia quelle dell’avventura fiabesca di Betsy nella grande città in cerca di una madre ormai defunta. Forse è proprio questa idea che fornisce al libro una marcia in più, perché rivela l’odiosa Betsy essenzialmente come una fanciulla contraria al rispetto delle regole in quanto mai uscita dall’adolescenza, e non più, o non solo, come una figura luciferina. Una fine articolazione dell’analisi, che può almeno in parte rincuorarci: siamo infatti certi che la molteplicità psichica sia una patologia, e non la norma?
Daniele Rocca